Sí puó dire la stessa cosa dell’Italia? Sí e no.
In Italia l’ideale collettivo di notizia é anche lí condiviso collettivamente e le pagine iniziali si assomigliano abbastanza (escludiamo dal ragionamento le abituali manipolazioni degli articoli per leccare il culo ai proprietari), ma l’importanza delle notizie é una concezione completamente diversa da quella britannica: nel Regno Unito, ad esempio, la notizia di una madre schizofrenica che accoltella tre volte la figlia prima di scioglierla nell’acido nella vasca di casa non esce dalla pagina della cronaca interna, ottenendo l’equivalente di una pagina 6 o 7 “cartacea”; questo perché la notizia “non é notizia”: riguarda due singoli cittadini e, aldilá dell’interesse verso la psicologia del criminale e le statiche di casi simili a livello nazione, non ha rilevanza sull’intera collettivitá. Qualcuno potrebbe asserire che casi simili sono talmente comuni che nel loro ripetersi “non fanno notizia”, eppure non é necessariamente cosí: infatti a paritá di base statistica lo stesso approccio mediatico non avviene in Italia, ove casi come quello appena citato vengono “cresciuti e nutriti” per occupare le prime pagine con cadenza e durata stagionale, ma non solo: i giornalisti italiani operano qualcosa di ancora piú curioso: per evitare che l’impatto della notizia in questione venga “inquinato”, evitano di riportare notizie simili per il periodo immediatamente seguente all’avvenimento (questo, o dobbiamo pensare che tutti gli psicotici d’Italia si telefonino tra di loro per mettersi d’accordo su quando non é conveniente ammazzare i propri familiari).
Un’ altra operazione che il giornalista italiano effettua sulla notizia é assegnare identitá uniche ai personaggi in questione, cioé, per dirla in altre parole, crea “protagonisti”; questo avviene facendo diventare “Thomas” “il piccolo Tommy”, “Maria Rossi” “Nonna Maria”, il vicino di casa “una persona vicina alla famiglia” e cosí via; questo processo viene accompagnato alla produzione di materiale come fotografie ed interviste che deviano di diversi chilometri dalla strada del cosiddetto “dovere di cronaca”, creando un autentico “reality show”: cosí, mentre nel Regno Unito possiamo aprire un giornale e leggere “Madre uccide figlia e la scioglie nell’acido”, in Italia arriviamo a titoli incomprensibili come “Sarah, indagata anche Sabrina”, o “Sabrina nascose per alcuni giorni il diario di Sarah” (sto citando titoli veri).
La cosa che va oltre la constatazione e diventa preoccupazione, é che nel Regno Unito lettori interessati a questo genere di — chiamiamolo cosí — “approfondimento” é facilmente identificabile poiché la loro morbositá verso un certo tipo di notizie é soddisfatta da un certo tipo di giornale: infatti per questo scopo hanno inventato i tabloid, che sono pubblicazioni che partono dagli “scarti” dei giornali e creano “scandali”, esasperando i dettagli dei casi di cronaca violenta ed evidenziando le attivitá personali di personaggi pubblici — giornalisticamente noti per le cariche che ricoprono — piuttosto che concentrarsi sul “buon senso” dell’ “importanza della notizia” citato ad inizio articolo: in questo modo il giornale puó concentrarsi sulle notizie vere e chi vuole approfondire lo fa in altra sede. In Inghilterra certamente non ci se ne fa vanto, ma: o compri un tabloid e non leggi le notizie, o leggi le notizie e non leggi il gossip. In Italia questa distinzione non esiste, o per lo meno finge di esistere, ma de facto desume che tutti gli italiani si interessino anche di notizie “da tabloid”.
E’ veramente cosí, mi domando?
Personalmente, preferisco credere che in realtá i giornali hanno deviato il loro mestiere diventando armi di distrazione di massa, piuttosto che credere che gli italiani preferiscano le notizie di tabloid alle notizie “vere”. Senza tirare in ballo il piú famoso capro espiatorio d’Italia, una motivazione alternativa potrebbe essere il mero fattore economico: una notizia fornisce un’informazione e non coinvolge il lettore, mentre una storia lo lega ed obbliga a seguirne gli svolgimenti, aumentando l’interesse e quindi le copie vendute.
Il meccanismo é semplice: é come se da domani apparisse in prima pagina sul Corriere un’articolo sulle corse dei cavalli, che anticipa una corsa che avverrá domenica: crea i personaggi, satura la storia di dettagli, parla oggi, parla domani, quando arriva finalmente arriva domenica i lettori saranno piú interessati a leggere com’é andata la corsa piuttosto che sapere, chessó, della riforma della giustizia, e da qui ecco che il giornalista sbatte in prima pagina la notizia “non importante ma desiderata” sulla corsa dei cavalli: ma cosí facendo il giornalista ha sbagliato il suo mestiere, passando da “giornalista che dá le notizie” a “redattore per una rivista di cavalli”. Per questo stesso motivo mai accadrebbe nel Regno Unito che, su di un giornale, la notizia di un cittadino 32enne morto per denutrizione in carcere possa mediaticamente essere messa in ombra dalla quella della morte di un cefalodope in un acquario tedesco — beh In Italia questo accade.
Seguendo l’esempio citato appena sopra, la conseguenza naturale di questa mancanza di linea netta tra la notizie “da giornale” e quelle “da tabloid” é che in Italia abbiamo un sacco di persone che sanno tutto di cavalli ma niente di tutto il resto, e la cosa ancora piú preoccupante é che credono anche di essere informati.