L’epilogo della sua carriera non è così tra i più felici, ma sentirsi continuamente accusato e veder messa in dubbio la sua onestà sono stati fattori che hanno portato Lance ha prendere questa scelta. John Fahey, presidente della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, si è espresso sula questione dicendo che gli “sarebbe piaciuto che le accuse, le insinuazioni, le indiscrezioni, fossero esaminate da un tribunale tramite una udienza pubblica nell’ambito di un giusto procedimento affinché il mondo intero conoscesse i fatti”. Sarebbe piaciuto a tutti, possiamo aggiungere, anche perché dopo aver sconfitto il cancro ci saremmo aspettati da un lottatore come Armstrong di vederlo combattere e difendersi per uscire da vincitore anche da questa battaglia. Come faceva sulle salite e sulle strade che l’hanno portato a diventare uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi.
Così invece ci rimarrà sempre il dubbio, continueremo a chiederci se quei sette Tour vinti siano da attribuire a lui o meno, se davvero le sue imprese fossero frutto di doti umane speciali o di farmaci illeciti. Armstrong, che per tanti giorni della sua vita ha indossato il colore giallo, chiude così la sua carriera tingendo tutto ciò che ruota intorno alla sua leggenda dello stesso colore.