Uno dei miei quadri preferiti, “L’isola dei morti”, di Arnold Böcklin, di cui vediamo la prima e migliore versione, alla quale, fra il 1880 e il 1886, fecero seguito le altre quattro, tra cui quella di proprietà di Adolf Hitler, che andò perduta durante l’ultimo conflitto mondiale.
Una di quelle opere di fronte alle quali il mio senso critico lascia il posto a un’attrazione che potrei definire viscerale, come avviene quando guardo un film come “The Tree of Life” di Malick o leggo un poema come “The Rime of the Ancient Mariner” di Coleridge. L’angoscia è qualcosa che conosco bene, tanto da scegliere L’Urlo di Munch, che forse la rappresenta meglio di qualunque altra espressione artistica, come titolo del mio blog.
Ogni volta che guardo quest’opera, anche se in una riproduzione, sono irresistibilmente attratto dalla sua atmosfera ipnotica, consapevole di trovarmi di fronte a un’ispirazione altissima e rara, che quasi arriva a varcare la soglia del mistero e a proposito della quale così scrive l’autore: “Un’immagine onirica: essa deve produrre un tale silenzio che il bussare alla porta dovrebbe fare paura“.
E’ incredibile che un autore così ispirato, soltanto due anni dopo aver prodotto questo capolavoro, sia stato capace di dipingere “L’isola dei vivi”, quadro di desolante bruttezza e volgarità.
Federico Bernardini