Arrietty, la maturità disincantata

Da Lidiazitara @LidiaZitara

Di Arrietty mi hanno detto: “Bello, ma niente di che”.
Forse è vero, dopo Totoro e La città dei sogni tutto quello che è uscito dalle mani di Miyazaki ci potrebbe sembrare “niente di che”.

SPOILER

Ma a differenza di Totoro, Arietty ha una tristezza e una desolazione che non avevamo provato dai tempi di Nausicaa.
Ciò che in Myazaki affascina sono sempre gli scenari definiti con tocco da illustrazione liberty e Arrietty non manca il suo scopo: i décors e i croquis sono bellissimi, l’ambientazione in una casa che sta a metà tra lo zen e il country inglese, è una magia di miscuglio di stili che in mani d’altri sarebbe stata una paccottiglia.
I personaggi sono standard. Miyazaki non si è mai concentrato sulle particolarità fisiche dei suoi personaggi e infine risultano tutti un po’ uguali. Nausicaa e qualche altro sono dei casi differenti, e su questo bisogna ammettere che il Miyazaki prima maniera era più attento alla personalità dei caratteri.
Arrietty fatica a conquistarsi le simpatie dello spettatore, è un po’ assurda con la molletta da bucato, e con i capelli sciolti, in alcuni schizzi quasi ammiccanti, diventa assimilabile ad una giovane e provocante Fujiko.

Molto più simpatiche riescono la madre, la donna delle pulizie e lo strano guerriero che ricorda un po’ il Jimsey di Conan. Shō, il ragazzo che incontra Arrietty e che vorrebbe diventarle amico, è forse il vero disastro del cartone, definitivamente insopportabile e privo di personalità, una vera tinca.

E’ nelle lunghe panoramiche a volo d’uccello sul giardino e nella cura dei dettagli degli interni che si ravvisa la mano di Miyazaki, sempre più anziano e pronto a delegare ai membri dello staff lavori di “fino”.
Gli interni non sono traboccanti come in Il castello errante di Howl, ma certo più barocchi di quelli di Kiki.
Il giardino, per rimanere nel nostro ambito, è un esempio classico di cottage giapponese, in cui lo stile domestico inglese, originariamente derivato da influssi sino-nipponici dal Seicento a questa parte, è rimbalzato in Giappone con alcune peculiarità tipiche del giardinaggio anglosassone. Lo vediamo nella scelta dei fiori (l’Eschoscholzia e i papaveri, ad esempio), nell’inserimento di padiglioni/follies (robaccia tipica del Settecento inglese) e di piante fiorite lungo i percorsi à la Dan Pearson.
Il lungo piano sequenza che mostra il giardino nella sua totalità, ci fa vedere invece una struttura da stroll garden, tipica del Giappone.

Perfettamente in stile miyazachesco la scelta di elaborare una serie di romanzi inglesi (The Borrowers, di Mary Norton), già portati sullo schermo col titolo I rubacchiotti, e comprensibile la scelta di lasciare ad altri la regia. Come Woody Allen, che si esprime quasi esclusivamente con la sceneggiatura, anche Miyazaki non ha bisogno di una grande interazione con il suo staff, data la precisione dei suoi storyboard, la limpidezza del segno, e la creazione di una vera e propria scuola di allievi e collaboratori in grado di riprodurre il suo stile.

Al di là di queste considerazioni tecniche non scarterei Arrietty come un prodotto commerciale o come un episodio non troppo riuscito nella carriera di Miyazaki (ultrafavorito all’Oscar 2014 con Si alza il vento), o ancora come una sorta di passaggio di testimone.
Arrietty mi sembra una dolorosa constatazione, ed è qui che volevo arrivare. Se Totoro era la celebrazione della fantasia infantile che diventa arte nella vita matura, Arrietty sembra negare che il sogno possa diventare il sostegno dell’artista, e contemporaneamente affermarlo con il semplice fatto di esistere.
La separazione finale tra Shō e Arrietty è come una frattura insanabile tra la realtà e il sogno, mondi diversi e paralleli cui solo l’artista è in grado di far da ponte. Come pochi artisti moderni, Miyazaki ha dato un corpo visibile a questo ponte: Totoro.
Arrietty senza rimpianto e senza emendamenti lo riduce in polvere, forse un epigramma sulla negatività della natura umana? Io credo di sì.
Miyazaki non è certo una persona irriflessiva e sono convinta che abbia inquadrato Arrietty nella sua produzione proprio in questi termini. Possibile che senta vicina la fine, in fondo ha già annunciato che Si alza il vento sarà il suo ultimo film.
E come dice un mio amico, non ci sarà nessuno a colmare questo vuoto.


Fiori e paesaggi nell’arte di Hayao Miyazaki


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