‘Arrigoni e l’assassinio del prete bello’: intervista a Dario Crapanzano

Creato il 18 agosto 2015 da Fedetronconi

Avvocato, attore, cestista, creativo e manager, alla testa di importanti agenzie di pubblicità nazionali e internazionali, redattore editoriale ma, soprattutto, nuovo punto di riferimento del noir lombardo : L’ultima Riga incontra Dario Crapanzano, in libreria con l’ultima, accattivante investigazione del commissario capo Mario Arrigoni, ‘Arrigoni e l’assassinio del prete bello’ (Mondadori).

Come è nato il personaggio di Mario Arrigoni, protagonista dei tuoi gialli?
Ad essere sincero non volevo scrivere un giallo ma raccontare gli anni ’50. Tuttavia, siccome vanno di moda i gialli, me lo sono dovuto inventare! Assomiglia un po’ a Maigret, ma principalmente è venuto da solo nel corso della stesura, così come la relazione con la bellissima moglie, conquistata dalla sua verve nonostante sia poco attraente.
Il cognome -Arrigoni- non è dovuto alla celebre marmellata; si tratta di una reminiscenza di una fidanzatina, ma comunque è molto diffuso a Milano.

Perché inventare una parrocchia come principale ambientazione del tuo ultimo libro?
Parto sempre dalla scelta dell’ambiente e questa volta la vittima è un prete. L’invenzione si ispira comunque ad un oratorio vero (S.Gregorio, a Porta Venezia) che conosco molto bene. Per la figura del parroco che fuma Avana e beve rum ho tratto ispirazione da un prete che fumava.
Anche nei precedenti libri gli ambienti sono inventati ma vissuti, ad esempio ‘La casa della tuta’, in via Melzo, vendeva abbigliamento sportivo, oppure il’Garage Dumond’, prima cinema, poi teatro e biblioteca, o ancora il velodromo Vigorelli, una istituzione negli anni ’50, devoti al ciclismo ed al calcio.

I luoghi descritti sono ripercorsi anche fisicamente?
Ogni tanto faccio un controllo, ma gli edifici sono ancora quelli di allora. Ad esempio, la casa in Corso Buenos Aires 1 ha ancora i medaglioni in terracotta con i personaggi dei Promessi Sposi.
Nel primo libro ho inserito un numero civico( poi non è più capitato) e ho constatato che esisteva ancora…la gente verifica!
La scelta stessa della casa di Arrigoni, in via Casoretto, è dovuta al fatto che ci abitasse mio zio e nella chiesa accanto si fossero sposati i miei genitori, quindi sono rimasto in zona.

Milano: una costante delle tue narrazioni..
Ho scelto di raccontarla per ricordo, perché l’ho vissuta, ma soprattutto per testimoniare un mondo scomparso- dalle ghiacciaie, alle galline nei solai, fino ai funerali coi cavalli- ed è piacevole che la gente si incuriosisca a leggere qualcosa in proposito!
Del resto al giorno d’oggi c’è una tendenza a recuperare il passato, per certi aspetti migliore, ad esempio sul piano delle relazioni sociali. Io stesso ho vissuto nelle case di ringhiera, una sorta di comunità molto legate, oggi del tutto scomparse.

Il capoluogo lombardo è al centro anche del tuo primissimo scritto ‘A Milano con la ragazza…e no’…
Si tratta di un compendio di suggerimenti per sapere dove andare a bere vino, passeggiare, cenare, mentre la seconda parte è dedicata a dove cercare la ragazza se non ce l’hai.
Edito da me giovanissimo, con la dote di mia moglie, ha riscosso molto successo.
Dopo questa esperienza mi sono buttato sulla pubblicità, allegando come prova della mia creatività il libro stesso!

Sei stato copywriter e sei un ottimo comunicatore: che ruolo ha il mondo pubblicitario nei tuoi romanzi?
Ne ho parlato ne ‘Il delitto di via Brera’: c’è lo studio pubblicitario di un fantomatico architetto, vittima nella narrazione, nonché una bellissima ragazza popolare, grafici, redattori…

Com’era la pubblicità negli anni ’50?
Era un mondo di grafici e cartellonisti. Si disegnava molto, soprattutto donne seminude. L’immagine aveva un ruolo fondamentale.

Proprio il tema della bellezza femminile è estremamente ricorrente: nelle ultime narrazioni investe anche le figure maschili, dal pubblicitario, all’attore, fino al prete…
La donna che prediligo è quella de ‘Il delitto di via Brera’, ma anche nell’ultimo giallo spiccano due donne interessanti…
Faccio fatica a parlare di persone che non sono belle: ho fatto diventare bella una portinaia, forse esagero!:)

I giallisti nazionali ed internazionali che più apprezzi?
Camilleri, De Giovanni- orientato agli anni ’30- gli svedesi.
A dire il vero non leggo tanti gialli e la scelta di ambientarli negli anni ’50 è dovuta al fatto che nessuno lo faccia e che non ci siano tecnologie investigative di cui parlare.
E’ una tipologia di investigazione più ‘romantica’; i ladri rispettavano certe regole e non erano considerati male dalla gente, erano generosi, non si giustificavano ma si comprendevano.

Sei stato anche un ottimo giocatore di basket: come è maturata la passione per questo sport?
Fondamentalmente perché frequentavo l’oratorio, impregnato di tradizione cestistica. Allora si chiamava ‘pallacanestro’, una passione che ho coltivato assieme a molteplici altre e che mi ha regalato emozioni quanto la scrittura.

Dario Crapanzano è nato a Milano, dove si è laureato in Giurisprudenza e diplomato all’Accademia di Arte Drammatica di Esperia Sperani. Ha lavorato a lungo e con successo nel settore pubblicitario e ha pubblicato nel 1970 la guida sentimentale al capoluogo lombardo ‘A Milano con la ragazza…e no’. Compiuti i settant’anni, nel 2011 ha esordito come romanziere con ‘Il giallo di via Tadino’ (Fratelli Frilli Editori). Tre anni e tre romanzi più tardi, lo straordinario successo di pubblico e critica delle avventure di Mario Arrigoni e del commissariato di Porta Venezia -’La bella del Chiaravalle’, ‘Il delitto di via Brera’, ‘Arrigoni e il caso di piazzale Loreto’, tutti editi da Fratelli Frilli- ha reso Crapanzano il nuovo punto di riferimento del noir lombardo.

Alla prossima lettura!

Monica


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