Arrivano i sfollati climatici. Sono per ora quelli di Lohacara nel Golfo del Bengala, di Newtok in Alaska o di Carteret in Papua Nuova Guinea, costretti ad arrendersi davanti a un oceano che sale senza tregua, inquinando acqua da bere e campi da coltivare , fino a sommergere tutto. Case, scuole, chiese.
Sono un piccolo esercito, ma il numero è destinato ad aumentare. In Bangladesh potrebbero superare i 20 milioni se il 18% della zona costiera finirà sott’acqua , come prevedono i climatologi. Destino più amaro per le isole, che non avranno più nessuna terra da chiamare patria. “Se non verranno prese misure adeguate , entro qualche decennio varie Isole-Stato dell’Oceano Pacifico finiranno sotto il livello del mare”Avverte Michael Gerrard , direttore del Center for Climate Change Law della Columbia University.
A New York un mese fa circa si sono riuniti 250 scienziati ed esperti legali per cercare risposte a delle domande rivolte dagli abitanti delle Isole Marshall, adagiate a pelo d’acqua tra Australia e Hawaii. La paura è tanta. Il diritto internazionale non dà risposte. E anche a New York gli esperti so sino divisi su possibili soluzioni.
L’unico dato unanime è “L’innalzamento del livello del mare , dovuto all’espansione delle acque surriscaldate e allo scioglimento dei ghiacci polari e continentali . è cresciuto in modo costante dal 1990 a oggi : attualmente , secondo misurazioni satellitari , è di circa 3 mm all’anno” ha ricordato Mary Elena-Carr , direttore associato del Columbia Climate Center “Un fenomeno non uniforme in tutto il pianeta : in alcune regioni , come l’area occidentale del Pacifico o quella sudorientale dell’Oceano Indiano , l’innalzamento è tre volte superiore alla media , principalmente a causa della maggiore espansione termica e dei venti. Considerando anche il probabile parziale scioglimento dei ghiacci in Groenlandia e nell’Antartico Occidentale , da qui al 2100 il livello del mare potrebbe salire dai 75 ai 190 cm”. E nei secoli anche svariati metri.
Un incubo che accumuna gli arcipelaghi meravigliosi dell’Oceania e i paradisi a cinque stelle della Maldive , lo stato più basso al mondo : 1220 isole e atolli , l’80% a meno di un metro sopra il mare , dove tre anni fa fu creato un fondo per l’acquisto di una nuova patria - tra le opzioni : un territorio in Sri Lanka , India o Australia . dove ricollocare i 305.000 abitanti (fondo poi eroso da crisi e tagli di bilancio).
C’è ora una corsa ai ripari. C’è chi si affida ancora i sacchi di sabbia accatastati sulla riva per fermare la marea , come capita di vedere alle Maldive fuori stagione , e chi sceglie opere d’ingegneria sempre più spericolata : strade rialzate , importazioni massicce di sabbia , barriere vegetali sulla costa o muri di cemento lunghi vari Km in mare – come la barriera costruita a difesa di Majuro , capitale della Marshall – per fermare l’impatto devastante delle onde e delle maree. Si pensa persino di creare isole artificiali , poco più di piattaforme sul mare , che garantiscono la presenza degli abitanti , per poter continuare a chiamarsi Stato , con una bandiera e i diritti economici che ne conseguono , per esempio la vendita dei diritti di pesca al tonno , una delle entrate più importanti del Pacifico.
Molte isole-Stato pensano a vie legali per difendere i loro diritti. Per esempio una mappatura che difendi i confini in modo permanente , per far sì che le acque territoriali e la Zona economica non si restringano , o scompaiano. Le frontiere economiche potrebbero essere registrate nelle opportune sedi internazionali , sia all’Onu sia nei trattati bilaterali, come quello concluso tra la Francia e l’isola di Tuvalu ( in Polinesia) per stabilire i limiti delle rispettive rivendicazioni marittime.
Intanto partono le prime azioni legali. La Federazione della Micronesia ha fatto causa alla repubblica Ceca , distante 11000 km, perché colpevole di coler tener acceso il maxi impianto a carbone di Prunnerov-2 “Da solo produce emissioni 40 volte superiori a quelle emesse da tutto il nostro arcipelago. Prolungarne l’attività mette a rischio la nostra sopravvivenza” sostiene la denuncia in cui la Micronesia ha chiesto una “Valutazione transnazionale degli impatti ambientali. Si prevedono class action davanti alla Corte internazionale di Giustizia ( poteri limitati) di queste isole-Stato contro i Grandi Inquinatori.
Majuro, l’atollo più grande delle Isole Marshall, ha perso 20% del suo territorio negli ultimi 15 anni e tra i suoi 67000 abitanti si registrano molti espatri negli Stati Uniti , con cui l’ex colonia ha un trattato di libero ingresso, soggiorno e lavoro. La Nuova Zelanda , da parte sua, ogni anno accoglie alcune decine di abitanti dell’isola di Kiribati . Popoli che rischiano di trasformarsi in migranti senza patria e diritti. Le convenzioni Onu non riconoscono la categoria dei “rifugiati ambientali” o “climatici” fra i destinatari di asilo o protezione umanitaria. Due giuristi australiani stanno promuovendo una Convenzione ad hoc , che impone l’obbligo di accoglienza ai Paesi dell’Onu.