Nelle puntate precedenti:
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
10 ottobre 2013
Mi sembra di vivere un incubo. Uno di quelli veri. Uno di quegli incubi in cui ci manca solo uno zombie che ti si attacca alla giugulare per succhiarti tutto il sangue. È un giovedì sera ed io sto aspettando Anahi, mia madre, per andare a cena fuori insieme con mio fratello Richard. Che vive notoriamente a Londra, ma che da una settimana si è piantato qui a casa mia. E non ha minimamente spiccicato una parola sul perché. Le ho provate tutte. Ho provato anche a sbloccare il suo iPhone. Ma niente da fare, non ci sono riuscito. Mia madre mi telefona ininterrottamente per chiedermi come mai Richard sia venuto senza avvertire, e, soprattutto, ancora non fa le valigie e se ne va. Per questo, Anahi ha irrevocabilmente deciso di andare a cena, “E vedi di fargli sputare il rospo Martino. St’attento a te!”. Ussignur, forse è la prima volta che mia madre mi si rivolge con un tono così poco gentile. Ad ogni modo, ha prenotato in un posto figherrimo in centro e sono un po’ geloso, insomma a me non mi ci ha mai portato.
Arrivo puntualissimo con Richard che ha insistito nel voler prendere il taxi. Lo ha pagato lui, mi rifiuto di spendere quindici euro per un tragitto così breve. Roma ci delizia ancora con delle temperature inaspettatamente calde, tanto che Richard ha deciso di mettere una giacca in cotone. Lui veste sempre con giacca e cravatta. Insomma è un po’ noioso. Mentre paga il taxi mi guardo intorno. Largo di Torre Argentina è piena di gente, che per lo più aspetta l’autobus per tornare a casa. Provo a vedere se Anahi sta arrivando e la cerco con gli occhi da tutti i lati della piazza. Non la vedo ancora. “Pensi che Anahi abbia organizzato questa cena perché vuole sapere come mai sono qui?” mi interrompe Richard. Merda. “MMMMmmmmm… Non lo so. Però sai, non hai detto una parola a riguardo e oramai è una settimana che sei qui. Non che mi dia fastidio la tua presenza. Che sia chiaro… Però faccio fatica a credere che tu sia venuto qui perché volevi stare con me. Sono sincero!”. Panico. Gelo. Anahi mi ammazza e soprattutto sono stato per la prima volta nella mia vita sincero con mio fratello, anche troppo. Mi sento le guance bruciare, divento rosso all’istante. Mi sto vergognando. Eccessivamente. “Be’ cosa sono quelle facce? Forza che ho una fame che quasi svengo” esordisce mia madre arrivata-da-chissà-dove.
11 ottobre 2013
La cena è stata un totale flop. Talmente flop che Anahi non mi inviterà a cena per almeno sei anni. Non solo non siamo riusciti a scoprire niente, ma ci è scesa una depressione a metà che sembravamo quasi estranei. In compenso mi sono fatto raccontare tutto sul viaggio di mia madre. Anche troppo. Ma Richard mi ha incuriosito, perché è qui? Ci ripenso mentre sono al lavoro e noto che ho la testa troppo tra le nuvole, tanto che la Di Rocco, che di solito non parla, ma ordina, me lo fa palesemente notare: “Spero che tu stia eseguendo al meglio quei check-in. Hai la faccia che urla “sto pensando ai fatti miei”. Cosa dovrei rispondere ad una simile affermazione? Decido di ignorarla. Ma vengo distratto da altro. Un cameriere bonerrimo e devastante con due vassoi di cappuccini, caffè e cornetti. Io sorrido e faccio immediatamente per dargli una mano. Mi passa un vassoio e mi chiede di accompagnarlo allo studio pubblicitario. Detto, fatto. In ascensore ho cercato inutilmente di conversare “Quindi tu lavori al bar qui accanto?” dico sorpreso. Mi guarda perplesso. Ed annuisce. “Be’ ovvio, stai portando i cappuccini” deduco. Sorrido. Ma sto iniziando a diventare color Peppa Pig. E non va bene. Tra l’altro caro cameriere, sarai anche bono. Ma anche meno. Indignato decido di ignorarlo fino all’ultimo piano. “Eccoci” sottolineo appena le porte si aprono. Con la carta magnetica accedo all’entrata secondaria dello studio e raggiungo la sala riunioni, che è praticamente lo spazio comune principale. Arrivo dalla segretaria dello studio, che ha già diligentemente preparato i soldi per il ragazzo del bar. Lo congedo immediatamente, ma inevitabilmente riconosco il Perfido Orazio che parla con una delle ragazze del marketing. Che cacchiarola ci fa lui qui? E soprattutto come ha fatto ad entrare. Ed ha anche un pass visitatori appeso alla giacca. Mmmmm. Non sono affatto convinto. Insomma io dovrei sapere chi entra e chi no, lavoro alla reception di questo maledetto palazzo, noto ai più soprattutto per la difficoltà con cui entrarci. E invece.
Decido di indagare immediatamente. Appena tornato al computer dietro la postazione mi metto subito a cercarlo. Se è dentro con un pass io devo poterlo trovare. Arriva anche la Di Rocco. “È tutto sotto controllo?” dice neanche stessimo alla Nasa. “Certo. Ho una domanda: se una persona ha un pass visitatore noi possiamo visualizzarlo?” dico come se all’istante fossi diventato Olivia Pope. “Certo. Devi inserire il codice” dice scontata. “E se il codice non lo conosco?” insisto. “Se non conosci il codice basta vedere tutte le entrate del giorno.” Batte sui tasti e si apre una schermata con tutti i nomi di quelli che sono entrati dalla mezzanotte in poi: “Ecco vedi, questi sono tutti quelli che adesso sono dentro il palazzo. Hanno un pallino verde. I rossi invece sono quelli che non sono presenti oggi, mentre i gialli sono venuti e sono già andati via” mi spiega. Non mi torna qualcosa però. “E chi ha un pass visitatore, lo possiamo rintracciare?” specifico. “Mi fa piacere che mi fai queste domande. Sono colpita dal fatto che ti interessi, è giusto che tu conosca questi dettagli! – sorride compiaciuta – Comunque eccoli, ci sono venticinque pass ospiti attivi, e al momento sono presenti in cinque.” Indica con una french super accessoriata di glitter e fiorellini. “Grazie. Davvero gentile, adesso ho capito”. Dico appropriandomi di nuovo del computer. “Di niente, quando vuoi sono nel mio ufficio”. Ecco brava, levati. Torno sulla schermata ed eccolo qui, il Perfido Orazio è entrato alle 7 di questa mattina. Richiamo tutte le entrate di questo mese e mi rendo conto che è stato qui quasi tutti i giorni. Sempre intorno alle 7. Ed è uscito sempre tardissimo. Ma che cavolo ci fa questo qui ogni giorno? E soprattutto perché è diventato così dannatamente affascinante?
Mentre sono lì che ci penso, sono interrotto da una presenza. Davanti i miei occhi si materializza una faccia conosciuta, ma che per molto tempo non avevo visto. Alzo gli occhi, e quasi svengo. Mio padre, Giancarlo, di fronte a me ed esordisce “Dov’è finito tuo fratello?”.
Per la serie Ciao papà, ti voglio bene anche io, io sto una favola. “E tu che ci fai qui?” dico tra lo stupito e lo sconvolto al limite di una convulsione. “Sono venuto a riprendere tuo fratello. Devo capire cosa ha combinato e perché è andato via senza dire niente a nessuno.” Dice con un tono al limite dell’incavolato. Moto di protezione improvvisa e inaspettata amicizia nei confronti di Richard. “Non lo so. È andato in centro a fare compere, e poi andava in un museo. Adesso fai una cosa, vai da mamma, appena esco dal lavoro vi raggiungiamo” dico serio. “Vabbè, tanto oramai sono qui… Bello questo posto, ma praticamente stai alla reception. Io pensavo che si trattasse di un posto dirigenziale…” . Martino stai calmo. In fondo è pur sempre tuo padre. In fondo ti ha dato la vita. “Sì. Ora scusa ho da fare. Vai dalla mamma.” Per fortuna ho tempestivamente avvisato mio fratello.
Ricapitolando. Mia madre è una pazzoide divorziata. Mio padre è antipatico e mi taglia i viveri di botto. Mio fratello fugge da casa sua (Londra) perché, evidentemente, ha combinato qualche danno. Mio padre lo viene a riprendere. Io sono in mezzo e non so più cosa fare. È proprio il caso di dirlo.
When drama takes over.
To be continued…
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Il post Arrivi e silenzi, scritto da Annabelle Bronstein, appartiene al blog Così è (se vi pare).