Dopo il rientro negli Stati Uniti, avvenuto nel 1971, gli AEOC si aprirono ai progetti individuali e alle collaborazioni con esponenti di spicco della sperimentazione jazz americana come Cecil Taylor. Ciò non impedì alla band di portare avanti il progetto specifico inaugurato in Europa, con l’incisione di pietre miliari del jazz d’avanguardia, come Fanfare for the warriors (1973), Kabalaba (1978), Urban bushmen (1980), The third decade (1984), Ancient to the future (1987). Nel decennio a cavallo tra i novanta e il nuovo millennio, la band ha visto la defezione temporanea di Jarman (per la necessità di approfondire la sua spiritualità buddista) e quelle definitive di Bowie e Favors, deceduti rispettivamente nel 1999 e nel 2004. Il rientro di Jarman, avvenuto nel 2003 in occasione del commosso ricordo per il trombettista scomparso (Tribute to Lester), è stato battezzato da una fortunata tournèe che ha toccato anche l’Italia, con performance alle quali hanno collaborato il pianista americano Kirk Lightsey e il funambolico polistrumentista sardo Antonello Salis.
Nella loro carriera ultra quarantennale, gli Art Ensemble of Chicago hanno portato alle estreme conseguenze le peculiarità improvvisative del free jazz, giungendo a creare, anche negli album in studio, degli irripetibili hic et nunc, mantenendosi sempre coerenti con lo spirito al contempo sacrale e dissacratorio, primordiale e avanguardistico. Il look classico della band, con Roscoe Mitchell in abiti da yuppie, Lester Bowie in camice da medico e gli altri tre membri in filologici costumi cerimoniali africani, è la sintesi perfetta della filosofia degli Art Ensemble of Chicago, così come il motto Great black music: ancient to the future, adottato dalla band, ne delinea senza ambiguità l’orizzonte intellettuale e artistico. Altra caratteristica peculiare è la propensione di ogni membro alla polistrumentalità e all’utilizzo di strumenti impropri (trombette, campanelli, oggetti vari utilizzati come percussioni).