ART e FOOD
Rituali dal 1851
Triennale apre le manifestazioni EXPO facendo storia del cibo come fatto di costume, di comportamento e di gusto estetico
Di come spazi ed evolva il dibattito sul cibo nel mondo durante Expo incominciamo già oggi ad averne un assaggio: anche in televisione incominciano i dibattiti e gli scontri sono duri, tra ottimisti e pessimisti, tra positivi e scettici, tra estimatori e contestatori dell'impostazione data all'esposizione universale di Milano, che aprirà i battenti il 1° maggio. Giornalisti e intellettuali non vedono che male ovunque si girino, mentra sponsors, aziende produttrici e distribitrici, organizzatori vedono tutto perfettamente a posto mentre in questi ultimi giorni di lavori si giocas tutta la partita della credibilità nazionale. Anche le istituzioni pubbliche incominciano a fare la loro parte: mentre Triennale e Comune di Milano ricostruiscono, contrariamente a ogni logica e discernimento, il Teatro Continuo di Burri, nel bel mezzo di Parco Sempione, vanificando il senso di uno degli assi visuali tra i più importanti d'Europa e del Mondo, la stessa istituzione milanese promuove l'ottimo restauro dei "Bagni Misteriosi" di De Chirico, proprio a ridosso dei suoi giardini esterni, restituendo all'opera tutta la sua vitale potenza cromatioca originaria, ed inaugura, nelle sale muziane, la gigantesca mostra curata da Germano Celant, "Art e Food - Rituali dal 1851", e allestita in modo un po' dispersivo da Italo Rota.
Una sequenza di immagini prese a caso dalle sale della mostra che dimostrano quanto essa sia stata costruita mescolando generi, materiali, pezzi unici e seriali, epoche, concetti, progetti e oggetti. Dai manifesti anni '50-'70 dello Studio Armando Testa, biciclette per trasportare il latte,un modulo di autosussistenza, il pesce-cucina di Gehry, il primo VolksWagen d'autosufficienza viaggiante, le 10 Campbells soups di Warhol, un modulo espositivo urbano, il Punt e Mes di Armando Testa, contenitori e stoviglie in plastica anni '60, vetrina Depero.
Anche questa mostra, attraverso la sua inconsueta dimensione e la sua fin troppo vasta sfaccettatura del panorama tematico, vorrebbe sollevare un ampio dibattito sui molteplici significati che hanno avuto, nelle diverse stagioni degli ultimi 15 decenni, i rituali della consumazione del cibo, nelle diverse situazioni sociali, nelle più svariate circostanze comportamentali dettate dalle mode, ma anche dai bisogni, dalle esigenze rappresentative o solo semplicemente funzionali, dai climi o dalla pura risposta a modelli predefiniti dagli ambiti produttivi, sia del prodotto preconfezionato destinato alle tavole, sia dei prodotti suggeriti, prima dagli stili artistici o architettonici, ed in seguito anche dal design del prodotto mobiliero, degli articoli per la casa, e perfino dalle case automobilistiche.
Angelo Morbelli, "Asfissia", 1884
La mostra è costituita, secondo lo stile del suo curatore, da un assemblaggio di pezzi autentici della produzione industriale, artigianale, pubblicitaria, artistica, visuale, progettuale architettonica grafica e di design, legate al tema del cibo come fatto di costume, di comportamento e di gusto estetico. Vi si accostano, secondo schemi non particolarmente rigorosi o forse poco comprensibili ai più, opere di pittura o di scultura ad ambientazioni e ricostruzioni di interni modernisti o deco, costruttivisti o razionalisti, autovetture a teche colme di oggetti pratici o simbolici, della vita domestica entro le mura dell'abitazione o della vita domestica proiettata fuori casa, elementi di design legati alla produzione o al consumo di cibo nelle più diverse circostanze, proposte progettuali destinate a razionalizzare il consumo o anche semplicementi a far sognare, proiettandoci nel futuro, il quale a volte ammicca al nostro desiderio di agguantare l'impossibile, altre volte sprofonda nella più catastrofistica delle visioni possibili.
Non mancano nella rassegna i nomi più noti e meno noti dell'arte, da De Nittis a Depero, da Boccioni a De Pisis, da James Ensor a Fontana, da Daniel Spoerri a Duchamp, da Braque a Oldemburg, Da Morandi a Lichtenstein, da Ghirri e Worhol, da Theo van Doesburg a Tom Wesselmann, così come non mancano quelli del Design, da Angelo Fasce a Gio Colombo, da Le Corbusioer a Zanuso, da Mackintosh a Mendini. Non mancano i grafici e i pubblicitari, come lo stesso Depero o lo studio Testa, Dudovich o Munari.
La casa futurista, la casa tecnologica-prefabbricata e quella autarchica (rispettivamente di Gerardo Dottori, di Jean Prouvé e di Angelo Fasce, tre esempi di linguaggio destinato, nelle intenzioni degli autori, non solo a modificare il tipo di arredo ma l'intero comportamento di chi vi vorrà abitare.
Intervallano qua e là la mostra importanti spezzoni di film, scelti da Antonio Somaini, così attribuendo un decisivo ruolo nel descrivere il rapporto uomo-cibo anche all'arte cinematografica. Ricordiamo di aver rigustato parti salienti e memorabili di "Monsieur Hulot", "la Grande Bouffe", "Mangiare bere uomo donna", tre gioielli in cui il tema dominante della mostra, rispettivcamente di Jacques Tati, Marco Ferreri, Ang Lee.
In complesso la mostra è un apprezzabile e perfino rilassante passatempo che non aggiunge, però, nulla di nuovo a quanto da essa avessimo potuto aspettarci, a parte qualche picco di novità, rappresentato ad esempio dal grande bancone-bar Campari, originale degli anni '30, e l'Autarca, di Angelo Fasce, prodotto di design sofisticato realizzato solo in prototipo, per una consumazione del cibo in compagnia d'amici senza dover ricorrere a personale di servizio.Enrico MercataliMilano, 11 aprile 2015