— Arthur Rimbaud

Da Silvy56

“Già l’autunno! - Ma perché rimpiangere un eterno sole, se siamo impegnati nella scoperta della chiarità divina, - lontano dalla gente che sulle stagioni muore. L’autunno. La nostra barca alta nelle nebbie immobili si volge verso il porto della miseria, la città enorme dal cielo macchiato di fuoco e di fango. Ah! gli stracci putridi, il pane inzuppato di pioggia, l’ebbrezza, i mille amori che mi hanno crocifisso! Dunque non finirà mai questa lamia regina di milioni d’anime e di corpi morti e che saranno giudicati! Mi rivedo con la pelle corrosa dal fango e dalla peste, i capelli e le ascelle pieni di vermi, e vermi ancor più grossi nel cuore, disteso fra sconosciuti senza età, senza sentimento… Avrei potuto morirci… Spaventosa evocazione! Esecro la miseria. E temo l’inverno perché è la stagione del comfort! - A volte vedo nel cielo plaghe sterminate coperte da bianche nazioni in festa. Un grande vascello d’oro, sopra di me, sventola le sue bandiere variopinte alla brezza del mattino. Ho creato tutte le feste, tutti i trionfi, tutti i drammi. Ho cercato d’inventare nuovi fiori, nuovi astri, nuove carni, nuove lingue. Ho creduto d’acquisire poteri sovrannaturali. Ebbene! devo seppellire la mia immaginazione e i miei ricordi! Bella gloria d’artista e di narratore andata in malora! Io! io che mi sono detto mago o angelo, dispensato da ogni morale, vengo riportato al suolo, con un do- vere da cercare, e la rugosa realtà da stringere. Bifolco! Sono ingannato? la carità sarebbe la sorella della morte, per me? Insomma, chiederò perdono per essermi nutrito di vergogna. E andiamo. Ma neanche una mano amica! e dove trovare aiuto?”

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