Arthur rimbaud poesie i

Creato il 06 luglio 2013 da Marvigar4

ARTHUR RIMBAUD

POESIE

Traduzione dall’originale in francese Poésies  

di Marco Vignolo Gargini

INTRODUZIONE A CURA DEL TRADUTTORE

   Questi sono i primi vagiti di un poeta che ha rivoluzionato il modo di concepire e realizzare la poesia. Arthur Rimbaud scrive a partire dalla fine del 1869, a quindici anni d’età, fino al settembre del 1871, quarantaquattro composizioni che lo porranno in costante progressione a contatto con le vette dell’espressività lirica. È l’opera  in fieri di un talento unico, ineguagliabile, che non manca ovviamente di imperfezioni, di parossismi ingenui, di esperimenti grossolani e volgari, di un anticlericalismo brutale e, talvolta, dai toni sfrontatamente blasfemi.  

   Solitamente si parte facendo riferimento alla cosiddetta “raccolta Demeny”: il poeta Paul Demeny, amico di Paul Izambard (1848-1916), professore di lettere e mentore di Rimbaud al Liceo di Charleville, ricevette per primo una copia manoscritta autografa di ventidue poesie del giovanissimo studente, in cui non era inclusa Les étrennes des orphelins. Questa raccolta è considerata la base per successive integrazioni, tra cui quella personale della “raccolta Izambard”. È con l’edizione critica di Bouillane de Lacoste (Paris, Mercure de France, 1939) che la “raccolta Demeny” e gli altri manoscritti e copie vengono a riunirsi definitivamente con il titolo di Poésies, tenendo conto di tutte le varianti e dell’ordine cronologico presunto delle quarantaquattro composizioni in questione. Le uniche poesie date alle stampe durante la brevissima attività poetica del poeta di Charleville furono: Les étrennes des orphelins (gennaio 1870), Première soirée (agosto 1870) e, nel settembre 1872, Les corbéaux [poesia pubblicata, a quanto pare, da Paul Verlaine (1844-1896) all’insaputa di Rimbaud].

   Poésies rappresentano un’estrema volontà di imporsi, di ribellarsi, di evadere, di imitare e superare gli autori romantici e parnassiani, da parte di un ragazzo insofferente verso tutto ciò che lo limita all’interno, e non solo, dell’angusto ambiente in cui vive, la profonda provincia francese di Charleville. Le fughe a Parigi di Rimbaud, e la sua visione diretta degli avvenimenti della guerra franco-prussiana prima, e della Commune poi, sono il materiale diaristico di queste Poésies, dove i temi dell’intimità personale (ricordi, sensazioni, proiezioni future), della politica (avversione nei confronti dei contesti tradizionali quali la famiglia, la religione, lo stato, la società), si sovrappongono magmaticamente, senza una coerenza deliberata, programmatica. Però quanta energia, quanta pura espansività, quanta intraprendenza riesce a manifestare il temperamento irrefrenabile e creativo di Rimbaud! Logico non attendersi una serie di componimenti confezionati ad uso e consumo di chi pretenda una omogeneità, che nel caso di Poésies sarebbe a posteriori fuori luogo nonché impossibile da esigere. In fondo si tratta di un assemblaggio di disiecta membra, di esercizi di stile, di prove generali per progetti successivi, di “biglietti da visita” del futuro poeta enfant de colère, descritto da Paul Verlaine in una sua poesia di Sagesse (la IV del primo libro della raccolta).  

   Per testimoniare il clima in cui vengono a maturare queste Poésies non trovo di meglio che consigliare la lettura della ben nota Lettre du voyant, epistola che il ragazzo di Charleville spedisce al poeta Paul Demeny il 15 maggio 1871, “il manifesto più sistematico che ci abbia lasciato Rimbaud” .

   Ma v’è un’altra lettera, a mio parere un documento di primaria importanza, che Rimbaud spedisce il 24 maggio 1870 al poeta Théodore de Banville (1823-1891), rappresentante eminente della scuola cosiddetta parnassiana, nella quale il poeta diciassettenne manifesta entusiasmo, speranza, e soprattutto ambizione nei riguardi della propria produzione poetica. All’interno di questa lettera Rimbaud acclude tre liriche, Credo in unam (che poi prenderà il titolo definitivo Soleil et chair), Sensation, e Ophélie, con l’intento dichiarato di poter far parte della raccolta del Le Parnasse contemporain (raccolta di vari poeti neoromantici che venne data alle stampe nel 1866, nel 1871 e nel 1876). Questo sia detto per sfatare la leggenda del ragazzo senza aspirazioni letterarie, strafottente e indifferente alla propria fama, leggenda che non avrebbe quindi senso alcuno, perlomeno in questo periodo precipuo della vita di Arthur Rimbaud. Insomma, nel 1870 il poeta di Charleville ci teneva, eccome, a farsi conoscere e pubblicare, e non lo nascondeva affatto! D’altronde, basta leggere il documento:

A  Théodore de Banville

Charleville (Ardenne), 24 maggio 1870.

Al Signor Théodore de Banville

Caro Maestro, 

Siamo nei mesi dell’amore; io ho diciassette anni, L’età delle speranze e delle chimere, come si suol dire. – ed ecco che mi sono messo, fanciullo toccato dal dito della Musa, – perdoni la banalità, – a dire ciò che io credo buono, le mie speranze, le mie sensazioni, tutte le cose dei poeti, – è questo che io chiamo primavera.  

Il fatto che io Le invii qualcuno dei miei versi, – e ciò tra l’altro tramite il buon editore Alph. Lemerre, – è perché io amo tutti i poeti, tutti i buoni Parnassiani, – poiché il poeta è un Parnassiano, – presi della bellezza ideale; è perché amo in Lei, molto ingenuamente, un discendente di Ronsard, un fratello dei nostri maestri del 1830, un vero romantico, un vero poeta. Ecco il perché. – È sciocco, nevvero?, ma insomma?…  

Fra due anni, fra un anno forse, io sarò a Parigi! – Anch’io, signori del giornale, sarò Parnassiano! – Non so che cosa ho dentro… che vuole salire… – Io giuro, caro maestro, di adorare sempre le due dèe, la Musa e la Libertà. 

Non storca troppo il naso leggendo questi versi… Mi farebbe impazzire di gioia e di speranza, se Lei volesse, caro Maestro, concedere al pezzo Credo in unam un piccolo posto fra i Parnassiani… Uscirei nell’ultima serie del Parnasse: sarebbe il Credo dei poeti!… – Ambizione! O Folle! 

ARTHUR RIMBAUD  

Par les beaux soirs d’été, j’irai dans les sentiers;

20 aprile 1870

A. R.

Ophélie

I

Sur l’onde calme et noire où dorment les étoiles

15 maggio 1870

ARTHUR RIMBAUD.

Credo in unam

Le Soleil, le foyer de tendresse et de vie,

29 aprile 1870

ARTHUR RIMBAUD.

Se questi versi trovassero posto nel Parnasse contemporain! – Non sono forse la fede dei poeti?

– Non sono noto; che importa? i poeti sono fratelli. Questi versi credono; amano; sperano; è tutto.

– Caro maestro, a me; mi sollevi un po’: io sono giovane: mi tenda una mano…”

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LE STRENNE DEGLI ORFANI

(Les étrennes des orphelins)

I

La camera è piena d’ombra; si sente vagamente

il triste e dolce bisbiglio di due bambini.

Sporgono la loro fronte, pesante ancora dal sogno,

sotto la tenda lunga e bianca che trema e si solleva…

- Fuori gli uccelli infreddoliti si stringono:

l’ali loro s’intirizziscono sotto il cielo grigio;

e il nuovo Anno, con la scia brumosa,

strascicando le pieghe della sua veste nevosa,

sorride con pianti, e canta battendo i denti… 

II

Ora i fanciulli, sotto la tenda che ondeggia,

parlano sotto voce come si fa in una notte buia.

Ascoltano, pensierosi, un mormorio lontano…

Spesso sobbalzano alla chiara voce aurea 

del timbro mattinale, che batte e batte ancora

il suo ritmo metallico nel suo globo di vetro…

- E la camera è gelata… vedi languire per terra,

sparsi intorno ai letti, dei vestiti luttuosi:

L’aspro vento invernale che piange sulla soglia

soffia il suo mesto alito per la casa!

Senti, dappertutto, che manca qualche cosa…

- Non c’è dunque una madre per questi piccoli fanciulli,

una madre con sorrisi aperti, con sguardi trionfanti?

Dunque ha dimenticato, la sera, sola e ricurva,

di far rivivere una fiamma strappata alla cenere,

di allungare su di loro la lana ed il piumino

prima di lasciarli esclamando: scusate.

Non ha previsto per nulla il freddo del mattino,

non ha chiuso bene l’uscio al vento invernale?…

- Il sogno materno, è il tiepido tappeto,

è il nido di cotone dove i fanciulli rannicchiati,

come degli uccellini che dondolano i rami,

dormono il loro dolce sonno di candide visioni!…

- E lì – è come un nido senza piume e calore,

dove i piccoli han freddo, non dormono, han paura;

un nido che l’amaro vento deve aver ghiacciato…

III

Il vostro cuore l’ha compreso: – questi bimbi son senza madre.

Non c’è una madre in casa! – e il padre è assai lontano!…

- Una vecchia fantesca, allora, ne ha preso cura.

I piccoli sono tutti soli nella casa gelata;

orfani di quattro anni, ecco che nel loro pensiero

si risveglia, a poco a poco, un ricordo ridente…

Sembra un rosario che pregando si sgrana:

- Ah! che bel mattino quel mattino delle strenne!

Ognuno, la notte, aveva sognato le sue strenne

in un sogno strano dove i giocattoli appaiono,

caramelle in carta d’oro, gioielli lucenti,

turbinare e danzare una danza sonora,

poi fuggire sotto le tende, poi far capolino ancora!

Si svegliavano al mattino, si alzavano con gioia,

le labbra eccitate, stropicciandosi gli occhi…

Andavano, coi capelli spettinati sulla testa,

gli occhi raggianti, come nei gran giorni di festa,

e i piedini nudi che sfiorano il pavimento,

a bussare piano piano alla porta dei genitori…

Entrate!… E allora gli auguri… in camicia da notte,

i baci ripetuti e l’allegria permessa!

IV

Ah! che bellezza, quelle parole dette così tanto!

- Ma com’è cambiata la casa di un tempo:

un gran fuoco scoppiettava, chiaro, nel camino,

tutta la vecchia camera era illuminata;

e i riflessi vermigli, sprizzati dal gran focolare,

godevano a turbinare sui mobili verniciati …

- L’armadio è senza chiavi!… senza chiavi, l’armadio grande!

Fissavano spesso la sua bruna e nera anta …

Senza chiavi!… era strano!… sognavano più volte

i misteri assopiti nei suoi fianchi di legno,

e credevano di udire, nel fondo della serratura

aperta, un rumore lontano, vago e allegro mormorio…

La camera dei genitori è così vuota, oggi:

non c’è più il riflesso vermiglio sotto la porta;

non ci sono più i genitori, il focolare, le chiavi tolte:

e allora niente più baci, niente più dolci sorprese!

Oh! quanto sarà triste il Capodanno per loro!

- E, pensosi, mentre dai loro occhioni azzurri,

scende in silenzio una lacrima amara,

bisbigliano: “Ma quando tornerà la nostra mamma?”

V

Adesso, i piccoli sonnecchiano tristemente:

diresti, a vederli, che piangono dormendo,

tanto i loro occhi sono gonfi e il loro respiro penoso!

Tutti i bimbi piccoli hanno il cuore così sensibile!

- Ma l’angelo delle culle viene ad asciugare i loro occhi,

e in questo sonno opprimente mette un sogno gioioso,

un sogno così gioioso che le loro labbra socchiuse,

sorridenti, sembrano mormorare qualcosa…

Sognano che, chini sul loro braccino tondo,

dolce gesto del risveglio, alzano la fronte,

e il loro sguardo vago tutt’attorno si posa…

Si credono assopiti in un paradiso rosa…

Nel camino sfavillante canta lieto il fuoco…

Dalla finestra si vede laggiù un bel cielo azzurro;

La natura si sveglia e di raggi s’inebria…

La terra, discinta, felice di rivivere,

rabbrividisce di gioia sotto i baci del sole…

E nella vecchia casa tutto è tiepido e vermiglio:

i vestiti luttuosi non ricoprono più il pavimento,

il vento ghiaccio sotto il sole s’è fermato…

Sembra che una fata sia passata lì dentro!…

I bambini, tutti gioiosi, hanno urlato… Là

vicino al letto della mamma, sotto un bel raggio rosa,

là, sul gran tappeto, risplende qualcosa…

Sono dei medaglioni d’argento, neri e bianchi,

della madreperla  e del gavazzo dai riflessi scintillanti;

delle piccole cornici nere, delle corone di vetro,

che hanno tre parole incise in oro: “A NOSTRA MADRE!”



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