Arthur rimbaud poesie x

Creato il 17 agosto 2013 da Marvigar4
ARTHUR RIMBAUD
POESIE
Traduzione dall’originale in francese Poésies
di Marco Vignolo Gargini
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ORAZIONE DELLA SERA
(Oraison du soir)
Io vivo seduto, come un angelo nelle mani di un barbiere,
impugnando una coppa con forti scanalature,
l’ipogastro e il collo incurvati, una pipa Gambier
tra i denti, sotto l’aria gonfiata d’impalpabili venti.
Come i caldi sterchi di una vecchia colombaia,
mille sogni dentro me mi ardono dolci:
poi d’un colpo il mio cuore triste è come un alburno
che insanguina l’oro giovane e tetro delle colatura.
Poi, quando ho ringoiato con cura i miei sogni,
mi volto, dopo trenta o quaranta boccali,
e mi raccolgo, per rilassare il mio aspro bisogno.
Amabile come il Signore del cedro e degli issopi,
io piscio verso i cieli bruni, altissimo e lontanissimo,
con il consenso dei grandi eliotropi. 
CANTO DI GUERRA PARIGINO
(Chant de guerre parisien)
La Primavera è evidente, perché
dal cuore delle verdi Proprietà,
il volo di Thiers e di Picard
spicca con i suoi grandi splendori aperti!
Oh Maggio! Che deliranti culi-nudi!
Sèvres, Meudon, Bagneux, Asnières,
ascoltate dunque i benvenuti
seminare le primaverine! 
Loro hanno schakò, sciabola e tam-tam,
non la vecchia scatola di candele,
e le iole che non potevan, non potevan …
solcano il lago dalle acque insanguinate!
Noi ci straviziamo più che mai
quando sulle nostre tane vengono
a piombare le cocuzze gialle
in certe aurore particolari!
Thiers e Picard sono degli Eros,
dei saccheggiatori d’eliotropi;
col petrolio fanno dei Corot:
a voi lo sciame devastante dei loro tropi…
Loro sono familiari del Gran Turco!…
E assopito tra i gladioli, Favre
le sue palpebre fanno acquedotto,
e le sue annusate con il pepe!
La grande città ha il pavé arroventato
malgrado le vostre docce di petroli,
e decisamente, ci tocca
scuotervi nel vostro ruolo…
E i Rurali che si crogiolano
nei loro lunghi accovacciamenti,
sentiranno i rametti che cadono
in mezzo agli urti rosseggianti!
MIE PICCINE INNAMORATE
(Mes petites amoureuses)
Un lacrimale idrolato lava
I cieli verde-cavolo:
sotto l’albero di gemme che sbava,
i vostri caucciù.
Bianche di lune particolari
Dalle rotonde natiche,
sbattete le vostre ginocchiere,
mie bruttacchiotte!
Noi ci amammo allora,
blu bruttacchiotta:
mangiavamo uova alla coque
ed erba grisellina!
Tu mi laureasti poeta, una sera,
bruttacchiotta biondina:
vieni qui che ti frusto
qua sul mio grembo;
Ho rigettato la tua brillantina,
bruttacchiotta nera;
tu taglieresti il mio mandolino
col filo della fronte.
Puah! Le mie salive disseccate,
rossa bruttacchiotta,
infettano ancora le trincee
del tuo tondo seno!
O mie piccine innamorate,
quanto vi odio!
ammollate schiaffi dolorosi
alle vostre laide tettone!
Pestate le mie vecchie terrine
Del sentimento;
- Hop dunque! Siate le mie ballerine
Per un momento!…
Si slogano le vostre scapole,
o miei amori!
Una stella ai vostri fianchi zoppi,
fatevi dei bei giri!
Ed è proprio per queste frattaglie
Che ho scritto rime!
Io vorrei spaccarvi le anche
Per avervi amato!
Mucchio insipido di stelle fallite,
nell’angolino, su!
- Voi creperete in Dio, sotto il peso
d’ignobili cure.
Bianche di lune particolari
Dalle natiche rotonde,
sbattete le vostre ginocchiere,
mie bruttacchiotte!
ACCOVACCIAMENTI
(Accroupissements)
Molto tardi, quando lo stomaco si rivolta,
il frate Milotus , un occhio al lucernaio
da dove il sole, chiaro come un paiolo ripulito,
gli irraggia un’emicrania e gli intontisce lo sguardo,
e sposta nelle lenzuola la sua pancia di prete.
Si dimena sotto la sua grigia coperta
e scende, le ginocchia contro il ventre in tremito,
stravolto come un vecchio che mangia la sua presa;
perché lui deve, la mano al manico del pitale,
largamente rimboccare sui suoi fianchi la camicia.
 
Ora, s’accovaccia, tra i brividi, le dita dei piedi
ripiegate, battendo i denti nel sole chiaro che pianta
dei gialli di broscia sui vetri di carta;
e il naso dell’omino dove brilla la lacca
tira su tra i raggi, come un carnale polipaio.
L’omino s’arrostisce al fuoco, braccia torte e labbra
al ventre: sente le sue cosce nel fuoco,
e sente bruciare i suoi calzoni, e spegnersi la pipa;
qualcosa come uccello un po’ svolazzante
sul suo ventre sereno come un mucchio di trippa.
Intorno, dorme un ammasso di mobili abbrutiti
tra stracci di sporcizia e sopra sudici ventri;
sgabelli, strani rospi, sono rannicchiati
in angoli bui: le credenze hanno gole di cantori
che le apre un sonno ricolmo d’appetiti orribili.
Il calore mefitico riempie la cameretta;
il cervello dell’omino è imbottito di cenci.
Ascolta i peli spuntargli nella sua pelle umidiccia,
e talvolta, in singhiozzi forti gravemente buffoneschi
erompe, scotendo il suo sgabello che zoppica…
E la sera, ai raggi della lune, che gli fanno
al contorno del culo delle sbavature di luce,
un’ombra con dettagli si accovaccia, su uno sfondo
di neve rosa che somiglia un malvone…
Bizzarro, un naso insegue Venere nel cielo profondo.


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