Articolo 19, una sfida impegnativa

Creato il 15 febbraio 2013 da Gadilu

È certamente positivo che nell’ambito delle discussioni inerenti la riforma dello Statuto d’autonomia si torni a parlare di scuola bilingue. Per farlo con l’indispensabile misura, occorre però limitare i proclami e le aspettative miracolose. Proprio su tale tema, infatti, negli anni passati si è accesa e poi stancamente trascinata una polemica ideologica tra fautori e oppositori dell’impianto stesso della nostra autonomia. Impianto che, è bene ricordarlo, poggiando sulla difesa delle minoranze tedesca e ladina, non lascia troppo spazio a visioni radicali, come ad esempio quella di chi auspica il completo superamento del modello attualmente vigente.

Di cosa c’è bisogno, allora? Essenzialmente di una chiara enucleazione degli obiettivi da raggiungere e del modo migliore per conseguirli, tenendo conto del fatto che abbiamo avuto alcune sperimentazioni virtuose. In questo senso le recenti dichiarazioni di Siegfried Brugger, pronunciate non a caso durante un forum sul terzo Statuto promosso da Pd e Svp, possono farci intravvedere meglio il nuovo traguardo.

Brugger ha citato il controverso articolo 19 dello Statuto, finora inteso dai suoi critici come un ostacolo insuperabile al raggiungimento di un plurilinguismo diffuso soprattutto da parte italiana: “L’articolo 19 dovrà essere cambiato, non si può costringere la scuola italiana a stare dietro una legislazione ormai logora, e questo creerà anche più concorrenza tra modelli di scuole e un innalzamento della qualità”.

Si tratterebbe di un’innovazione epocale. L’articolo 19, come si evince già dalla lettura del suo incipit perentorio, era considerato uno strenuo baluardo identitario: “Nella provincia di Bolzano l’insegnamento nelle scuole materne, elementari e secondarie è impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna”. Asserendo ora che un tale principio possa essere percepito come “logoro”, almeno dal punto di vista della scuola italiana, significa quanto meno mettere in discussione la preminenza ossessiva della lingua materna e riconoscere quindi pieno diritto alla pluralità di accessi linguistici anche in ambito formativo.

Se una tale apertura dovesse venire confermata e delinearsi davvero come una delle ipotesi di lavoro per porre mano alla riforma dello Statuto, è chiaro che nel mondo di lingua italiana ci sarà bisogno di sviluppare con grande serietà un’attenta valutazione – finalmente pragmatica e non più ideologica – sul significato e soprattutto sulla gestione di un cambiamento così profondo. Una sfida senza dubbio stimolante, ma anche più impegnativa di quello che molti sostenitori della guerra all’articolo 19 sono stati sinora disposti ad ammettere.

Corriere dell’Alto Adige, 15 febbraio 2013


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