Intervista di Cecilia Ci all'artista Mario Vespasiani per il Resto del Carlino del 4 gennaio 2012
- Sei un giovane artista che ha molte cose da raccontare ma sei anche un pittore affermato che ha lasciato il segno nel panorama dell’arte contemporanea. Tu come ti senti?
Fortunato: per aver trovato le condizioni necessarie per dedicarmi a questo lavoro. Felice: di impegnarmi ogni giorno. Innamorato: nel corrispondere a questa passione. Curioso: di voler sperimentare altri punti vista. Coraggioso: per spingermi oltre i territori conquistati e purtroppo ansioso perché volendo arrivare a fare di tutto a volte ne vengo sopraffatto.
- Qual'è la poetica che sottende e sostiene l'espressione creativa?
A prima vista le tematiche sono state molteplici, ma vanno considerate come parti di un solo grande cosmo, che prende forma passo dopo passo. Magari può essere utile inquadrare la direzione della mia ricerca estetica e di significato in alcuni capisaldi, che derivano dal colore della pittura veneta da Lotto a Tiepolo, nei temi dei romantici del nord da Friedrich a Turner, nell'istinto degli espressionisti astratti da Rotkho a Mitchell, ma anche nella poesia di Leopardi e in Licini, passando per le favole ascoltate da bambino, alle storie dei santi e dei grandi esploratori.
- Quali sono i temi del tuo racconto artistico?
Ho trattato in questi anni gli stessi temi affrontati dagli artisti nel corso del tempo: il ritratto, la natura morta, il soggetto sacro, il paesaggio e gli animali, semplicemente perché ho intuito fin da subito che per essere in grado di esprimere il mio universo dovevo conoscere i codici basilari. Ho iniziato a dare vita al mio mondo sperimentando ma anche studiando il passato, muovendomi tra immaginazione e tradizione. Sono convinto che questo modo di procedere alla lunga mi permetterà di sviluppare quella libertà artistica capace di spaziare non solo all'interno del mezzo pittorico ma anche in altre discipline. Si può liquidare un'eredità del passato solo se la si possiede, ma se uno non inventa e non studia e pensa solo ai concettualismi e alle strategie riuscirà mai a trasmettere qualcosa di duraturo? Tutta la mia ricerca andrebbe letta come una filosofia della luce, come un tentativo di purificare il presente, dove le ombre si dissolvono e le immagini sembrano luminose anche negli angoli più scuri. Cerco di spogliare la forma, che sia particolare o universale, di tutto il superfluo e farla fluttuare in quella (quarta) dimensione sospesa nel tempo e nello spazio, dove il fondo si perde nel primo piano e i contorni della figura diventano impalpabili. Inseguo la Verità fissando su tela delle apparizioni, frutto di concentrazione e silenzi, tra sogno, poesia e intuito.
- I temi dei tuoi lavori dal figurativo passando attraverso il racconto di bambini e donne al tema dei fiori, qualcosa che privilegi?
Confermo che il mio lavoro dovrebbe essere guardato nell'insieme: dove volti, fiori e animali fanno parte di un unico spettacolo animato da una tensione verso il sublime, il meraviglioso, l'infinito. Vorrei che venisse fuori la mia attenzione per le piccole cose come per i più impressionanti fenomeni umani e naturali. Mi interessano le emozioni fondamentali, quelle che dal profondo scaturiscono sul nostro volto o di fronte un evento della natura. Amo quello che trabocca dal nostro quotidiano, lacrime, generosità, energia, speranza, purezza.
-Una recente mostra ha visto i tuoi lavori insieme a quelli di Osvaldo Licini. Che cosa ti accomuna al grande maestro di Monte Vidon Corrado, che cosa significa per te questa “vicinanza“?
In breve posso dirti che ho deciso di mostrare i miei lavori accanto a quelli di Licini perchè è stato un artista che ha vissuto i miei luoghi cogliendone quell'idea di leggerezza e misticismo che sento anch'io, e che affiora in molta di quella pittura nordica che amo. Nelle sue opere, come fossero composizioni poetiche individuai un autore che avrebbe potuto indicarmi altre strade, magari solitarie ma da percorrere con un rinnovato stupore e passione, fatte di sagome evanescenti che si muovono in una dimensione cosmica.
- Se non sbaglio hai dialogato anche con Mario Schifano, cosa ti spinge a “confrontarti con artisti così lontani” o, sono solo lontani nel tempo?
L'arte è sempre contemporanea. Pensa che nella prossima mostra del progetto “quarta dimensione” dialogherò con un artista lontano molti secoli, perché non è il tempo ma il linguaggio a rendere attuale un autore, poi sarà la mostra a dire se sono stato capace di dimostrare la mia tesi. Nell'evento con Schifano ho voluto sottolineare come entrambi esprimiamo un'indole da puma di cui non si sospetta lo scatto fulmineo, la vitalità e la capacità di far affiorare spontaneamente forme essenziali e sfuggenti, come se uno le stesse vedendo immerse in uno specchio d'acqua. In quel momento volevo sottolineare l'eccesso: di colore, di energia, di stimoli ma anche di spontaneità e coraggio nel presentare la propria vita così com'è. Che consuma come un fuoco che brucia e illumina.
Pittura e fotografia, come dialogano fra loro i tuoi linguaggi e come ti rapporto con essi singolarmente. Si completano a vicenda anche se si occupano di aspetti differenti del fare artistico. La foto precede la pittura e si dedica al primo approccio col soggetto: è meccanica, veloce e decisa, per questo molto maschile. La pittura invece è sexy, morbida, suadente e imprevedibile, come una donna la devi saper conquistare ma senza trattenere, lasciandola andare più che tentare di controllarla. Le due tecniche si sfiorano sempre, senza mai toccarsi e in questa distanza minima avviene la scintilla che dona a ciascuna la forza di richiamare qualcosa dell'altra.
- Quale percorso hai fatto per arrivare ad essere un artista?
Quello che porta da casa a studio, da A a B. Ma non è tanto un percorso quanto un allenamento, perché ci vuole il fisico per fare l'artista, per cavalcare le onde che spingono in alto e resistere a quelle che ti portano verso l'abisso, per contrastare quelle che ti conducono dove va la corrente e per affidarsi a quelle piatte del mare aperto.
- Vivi nell’entroterra marchigiano, cosa ti tiene legato ad un piccolo paese quando la vita dell’arte i sentieri dell’arte portano altrove, in grandi città ecc...
Vivo dove voglio vivere, dove il cielo gioca a fare l'arcobaleno e la luna sembra gocciolare nell'Adriatico. Se uno ha talento le persone se ne accorgono e allora viaggiano le opere, io penso solo ad essere in sintonia col battito del mondo. Non credo nella carriera, nel curriculum, nelle aste, specie dopo quello che abbiamo vissuto negli ultimi anni, con i crolli di molti sistemi produttivi e strategici. Poi se tutte le persone con le idee e voglia di fare abbandonano i piccoli luoghi, avanza il deserto. Creo per quel ragazzino che guarda i miei dipinti e gli viene voglia di spingersi ad inventare qualcosa di testa sua, per quei passanti che restano colpiti nel trovare un posto del genere in un paesino, per gli abitanti sorpresi di ogni nuova produzione. Voglio tenere le luci accese anche se so che non passerà nessuno a trovarmi.
- A cosa pensi quando lavori?
Non penso a nulla in particolare ma cerco di cogliere l'essenziale.
- E dove lavori, nel senso dello spazio, come è strutturato, è vero che il tuo studio è perfettamente ordinato? Allora cerchi di sfatare il mito del genio disordinato?
Lo studio di Ripatransone è un luogo fantastico perché ha una grande atmosfera. Nonostante abbia travi del '600 e tre archi gotici a mattoni sembra un loft di città, inoltre è situato lungo il corso principale ma si affaccia sul mare, rivolto ad oriente. Immagina che, durante l'equinozio di settembre un raggio di sole lo attraversa in tutta la sua lunghezza e così aprendo la porta sembra di entrare in uno spazio mistico, che risplende di una luce abbagliante.
- Avere ordine attorno a sé nello spazio significa avere ordine mentale?
Così come bisogna stare lontani da quelli che hanno una vita disordinata. Dovremmo fare del tutto per conservarci puri ed integri, facendo attenzione a come si vive e a cosa si trasmette. La pace del mio laboratorio e l'ordine dovrebbero essere espressione del mio fare, vorrei riuscire ad comunicare il bene che ci circonda, con tutta l'umiltà possibile, ma anche con la determinazione di chi vuole e agisce. Spero che lo studio possa essere l'estensione delle opere, fatte di poche cose ma rigorose. Ed io faccio il possibile per essere disponibile e per dare un esempio positivo.
- Dove sta andando Mario Vespasiani?
Sta cercando la bellezza nascosta e durevole, mentre si sforza di avere un animo equilibrato e sereno, di essere attento e gentile. Ascolta la voce interiore e punta le antenne in ogni direzione. Ha capito che guardando solo il marcio e la decadenza come fanno molti dei suoi colleghi, non lo aiuta a capire come orientarsi. Crede invece che per catturare l'attimo in cui si manifesta la visione bisogna uscire dal flusso esterno per non esserne distratto, sapendo di avere la responsabilità di trasmettere con la propria intuizione un ritmo proprio.
- “EcCitazione ConTemporanea” è il titolo di un’opera e anche quello di un ciclo? Dove i riferimenti sono ad opere classiche e cosa racchiude il doppio senso di queste parole?
Questo è stato forse l'unico titolo che non ho scelto io, la felice idea venne nel 1999 a Gianluca Marziani quando vide queste opere che proponevano una pittura barocca dentro la carica energetica di un presente super-colorato. Volevo interpretare alcuni capolavori che ho sempre ammirato, aggiungendo quel tocco personale, che in alcuni casi ha portato quasi a rendere irriconoscibile la fonte iconografica. Quindi Citazione stilistica insieme ad Eccitazione cromatica e attualità del Contemporaneo con opere che sono senza Tempo.
- I tuoi “cieli vuoti” nonostante il colore, fanno pensare a un pianeta dove gioia e dolore convivono. E' così?
La mostra presentava opere dello stesso formato quadrato disposte di fianco all'altra, a creare nello spazio della galleria una sorta di anello di Saturno al cui centro lo spettatore non doveva vedere le opere seguendo un percorso progressivo, ma attraverso una rotazione su se stesso, come fosse un sole, che col suo sguardo illumina ogni singola tela. Il titolo del ciclo di opere deriva dal fatto che il soggetto rappresentato è il pianeta terra osservato da un'occhio esterno, appare come una sfera sospesa nel blu oppure più riconoscibile nei vari continenti. Nelle opere sospese tra figurazione e astrazione non si percepisce mai la presenza dell'uomo o dei suoi confini tracciati per delimitare stati, come se fosse parte integrante di questo spettacolo quale è il nostro mondo. I cieli vuoti stanno a significare quel punto di vista esterno, che sia esso spettatore, artista o Divinità, volevo condurre alla ricerca di qualcosa la cui presenza si avverte anche se non si vede. Alla fine è un messaggio di speranza verso una direzione che oltrepassa le barriere ideologiche e geografiche: volevo mostrare una terra rigogliosa come un campo di fiori che non smette di essere in trasformazione, che si colora delle luci del giorno e che risplende ai fuochi notturni, una terra in cui i cieli sono vuoti solo se si smette di osservarli, solo se il vivere quotidiano non è più in grado di comunicare col nostro desiderio di infinito.
- La “quarta dimensione” fa pensare ad una dimensione a noi sconosciuta laddove la vita risiede nello spirito piuttosto che nella fisicità. Ti riconosci in questa descrizione ?
Le cose dello spirito hanno una misura che non è di questo mondo e per tale motivo quando mi dedico ai ritratti non cerco di collocare l'individuo in una realtà presente, ma nella dimensione atemporale dell'eternità. Vorrei che gli sguardi e le espressioni potessero richiamare tutta l'energia vitale del soggetto, sperando di restituire l'essenza di quell'emozione che ho avuto standogli di fronte. A mio avviso esistono molte più dimensione rispetto a quelle in cui siamo soliti vivere e quello che intendo come quarta dimensione più che un fatto di spazio e tempo credo sia un tipo di coscienza, una consapevolezza di complessità maggiori e solo vivendo pienamente possiamo raggiungerla; è un discorso lungo, che si arricchisce ad ogni mostra.
- Dal figurativo passando attraverso il racconto di bambini e donne al tema dei fiori.
Riguardo il genere figurativo, specie quando si parla di nature morte e temi floreali, si potrebbe richiamare l'idea di una sorta di decorazione, ma quando dipingo fiori mi concentro essenzialmente sul carattere simbolico che spinge oltre la semplice impronta estetica. Lo studio delle loro forme l'ho sempre inteso come un mezzo per avvicinarmi ai misteri ultimi, in quel loro ciclo incessante di morte e risurrezione. Stesso discorso riguardo l'esperienza fatta coi bambini, essa non mi permette altro che di mantenere uno sguardo limpido, per scorgere nei loro atteggiamenti, in quanto depositari della spontaneità della natura, quella purezza e quella vitalità provenienti da direttamente da Dio.
- Quale è la tua storia di bambino e poi di giovane che si affaccia al mondo dell’arte?
La stessa storia di quei visionari che passano ogni giorno a sognare e ad allenarsi, certi di avere missioni importanti da compiere. Ma anche uno che si emoziona guardando il cielo stellato, a cui è stato insegnato un codice e che ogni giorno deve fare uno sforzo enorme per rispettarlo e per aggiornarlo. Un ragazzo sempre più in grado di mantenere la parola data, ma totalmente incapace di prendere scorciatoie e quindi obbligato ad alimentare quel sacro fuoco, fatto di fiducia nella provvidenza e nella pratica quotidiana della pittura.
- In cosa crede Mario Vespasiani?
Credo che l'arte, come la santità sia una vocazione umana, una missione che si accetta e un sacrificio nel quale si è chiamati a rifiutare ciò che è accessorio a vantaggio dell'essenziale, credo in quel vuoto che bisogna fare intorno a sé per raggiungere l'unità dell'opera, in un procedimento simile alla preghiera. Annullando se stessi l'universale agisce da solo, gratuitamente e ci si meraviglia di quello che viene alla luce perché si sperimenta che la novità dell'essere è eterna e la fonte è inesauribile. Pittura e santità, pensa come sono fuori moda. Il fatto è che non mi sono mai preoccupato del gusto del pubblico né delle tendenze critiche, quanto di fare un'arte che provi ad innalzare la società anche di un solo gradino, magari rischiando di essere difficile nello stimolare qualche tensione emotiva, ma evitando sempre con cura di veicolare quella noia che io stesso provo nelle fiere specifiche, dove mi sembra di cogliere un comune procedere artistico tra il cattivo gusto e l'insensato.
- Quali sono per te le cose più importanti?
E' importante che io sia una persona sincera che abbia una corrispondenza tra le parole pronunciate e le azioni (i dipinti) quotidiane. Mi piace chi sa trasmettere calore e condivisione, chi ha gli occhi luminosi, chi si esprime con naturalezza, chi espande il suo carattere. Chi non si risparmia, chi gioisce delle cose fatte con amore, le donne che emanano femminilità e gli uomini che sanno ciò che vogliono. Mi piace l'albero che svetta sulla roccia incurante delle intemperie, la cultura dell'impegno, il pioniere che cerca nuovi territori, il fuoriclasse che trova il capolavoro nel fallimento, il gatto che vede nel buio, la cura con cui una madre prepara i pasti, il ritorno delle rondini, il cuore di Mara.
- Dove va l’arte oggi?
Per l'alto mare aperto. Nel senso che se nel '900 l'arte ha navigato a vista lungo la costa della storia, negli ultimi trent'anni specie in Italia si è avuta una generazione che non è riuscita a proporre chiavi di lettura adeguate del suo tempo, troppo impegnata a occuparsi di ideologie o di capitalismo, a consumare immagini o a decontestualizzare rifiuti. A noi spetta dunque ripartire dalle intuizione di quelli che sarebbero stati i nostri nonni e al tempo stesso riscoprire l'entusiasmo di guardare le cose con attenzione, per cercare un coinvolgimento locale e planetario. Dobbiamo ricordare che l'arte è sempre un pensiero che precede la bellezza e nella navigazione che ci attende dovremo necessariamente cambiare il punto di vista sulle cose e attivare altri sensi. Raccontare il presente senza essere didascalici, cogliere l'infinito nei nostri limiti ed irradiare vitalità, per dare luce a quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra della morte.
Quale domanda avresti voluto sentirti fare e non ti ho fatto?
Questa appunto. Nessuna domanda o risposta. Solo silenzio per far parlare l'opera.
Per informazioni:
www.mariovespasiani.com
Post realizzato da myArtistic Blog Design Atelier creativo di Padova che oltre a gestire un blog d'Arte e Design realizza decorazioni su mobili antichi restaurati e crea pezzi innovativi con arte, design e tecnologie all'avanguardia. Contatti: www.myartistic.it info@myartistic.it