Romanzo di Don DeLillo, film di David Cronenberg. Sono sufficienti questi due dati per configurare un appuntamento che merita di essere osservato. Specie se “Cosmopolis” riesce a parlare dell’attualità in maniera così puntuale.
L’anticinema di Cosmopolis non è certo per tutti: moltissimi, anzi, non sanno proprio che farsene; lo ritengono irritante, didascalico, sconnesso, e in ultima analisi indigesto. Ma il film di David Cronenberg, tratto dal romanzo del 2003 di Don DeLillo, riesce laddove moltissimi avevano finora fallito miseramente. Cronenberg mette infatti linguaggio e stile al servizio di una meditazione sulle “magnifiche sorti e progressive” del capitalismo odierno: più che la fine del mondo, Cosmopolis mette in scena la fine di un mondo – e l’inizio di un altro.
La limousine di Eric Packer (Robert Pattinson), in viaggio nel cuore di una Manhattan (ricreata “per sottrazione” a Toronto) stravolta dalle proteste e dagli scontri non è solo il teatro delle conversazioni fra il protagonista e i personaggi collaterali, portatori di sfumature sulla storia e sulle sue coloriture cultural-psicologiche. La limousine è una vera e propria capsula spazio-temporale, in grado di isolare lo spirito di un’intera epoca. Le qualità più sfuggenti e sottili e invisibili del presente – quel contemporaneo che ci sembra a volte così indecifrabile e misterioso, proprio per la sua mutevolezza e la sua apparente stupidità.
“Uno spettro si aggira per il mondo: lo spettro del capitalismo”: la rilettura di Marx ed Engels (per la precisione, come tutti sanno, di uno degli incipit più belli di tutti i tempi, quello del Manifesto del Partito Comunista del 1848), a prima vista un po’ stucchevole, che si legge sul maxischermo attraverso il finestrino di Eric, nasconde più di un elemento-chiave. Lo spettro è Eric stesso: tutto in lui è visione, e mediazione. Eric si identifica con la visione e con la previsione, con un punto di vista che si vuole e si pretende onnisciente. Il controllo pressoché totale delle informazioni e la capacità prefigurante (“Tu sei sempre al corrente, non è vero?”), al cui crollo progressivo assistiamo durante il film, non è altro che un’illusione. Fin dall’inizio. Gli schermi con i grafici in movimento che riempiono l’interno dell’auto, il check-up quotidiano e ipertecnologico del proprio corpo dettato dalla paura di una morte improvvisa, i finestrini da cui si intravedono le strade e i loro “occupanti”, e su cui si dipingono gli eventi sempre più traumatici di una giornata “joyciana”.
Eric anela all’esperienza da cui si sente irrimediabilmente tagliato fuori, a un contatto diretto col mondo che gli è precluso da una sorta di salto quantico della specie, dalla mutazione che non lo investe perché egli è mutato da sempre (“Siamo stati allevati dai lupi”). Disumano, Eric tende all’umano. L’unica forma di contatto che conosce è il possesso: la realtà è avvicinabile solo se ridotta a bene acquistabile, quantificabile – e il possesso esclude la condivisione con gli altri, il privato non ammette il comune.
David Cronenberg – Cosmopolis
Francia/Canada/Portogallo/Italia // 2012 // 108’
cosmopolisthefilm.com/en
Artribune Christian Caliandro: http://www.artribune.com/
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