Gli asanas dello Yoga esplicano effetti benefici molteplici sull’organismo umano, sia sul corpo che sullo spirito, ci aiutano a preservare o recuperare la salute, ad accrescere l’energia vitale e a prolungare la giovinezza. Esse agiscono sui nostri organi interni, migliorandone le condizioni di vita e le loro proprietà.
Gli asanas agiscono sugli organi della digestione, sul sistema circolatorio, sulle ghiandole endocrine, sul sistema nervoso, sull’apparato respiratorio, sugli organi emuntori, sull’apparato locomotore, sulle facoltà mentali e sullo stesso equilibrio psichico. L’influenza benefica delle posizioni dello Hata-Yoga è naturalmente ancor maggiore se la loro pratica è associata a quella della respirazione Yoga o pranayama.
Le asanas oltre al potenziamento dell’organismo, il materiale ringiovanimento
dei tessuti, il dominio dei sensi a vantaggio dello spirito, presentano indicazioni terapeutiche vere e proprie, cioè giovano in modo particolare per la cura di certi disturbi e per la guarigione di alcune malattie.
In linea generale i disturbi che possono trarre maggior giovamento dagli
Potremmo definire un asana come il restare immobili, a lungo, senza sforzo. L’immobilità del corpo è essenziale ed assoluta, con l’esclusione di qualsiasi movimento; solo così ci si abbandona all’asana ed esso agisce sul corpo e nel corpo. Gli stessi muscoli si allungano meglio e più velocemente, restando immobili, piuttosto che con un’azione a strappo. L’immobilità deve comprendere necessariamente anche quella della mente.
Una seduta di Yoga o sadhana è un muto dialogo con il proprio corpo e per stabilirlo non è sufficiente essere immobili e contemporaneamente lasciare che la mente vagabondi dove vuole. L’immobilità fisica deve corrispondere all’immobilità mentale e, per ottenere facilmente tutto questo, lo Yoga ricorre alla concentrazione sul respiro.
L’esecuzione di un asana si considera perfetta solo se la si sa mantenere molto a
Mantenere a lungo la posizione? E va bene! Immobili? Certamente! Ma anche e soprattutto senza sforzo. Quando abbiamo bisogno di sforzo per mantenere un asana vuol dire che non ne siamo ancora padroni. Solo quando, nella posizione statica dell’asana, si riuscirà a rilassare tutti i muscoli, a prenderne coscienza e a far distendere passivamente quelli su cui insiste la posizione, allora si avrà raggiunto l’asana stesso.
Quando si è perfettamente immobili in un asana, spontaneamente il respiro con il suo ritmo si impone alla coscienza, poichè esso è l’unico movimento, l’unico suono che si percepisce. La respirazione deve, all’inizio dell’esperienza, essere un respiro cosciente ma normale, senza ritenzioni, nè sbalzi, in maniera silenziosa e regolare per tutta la posizione, cioè sia nelle fasi statiche che in quelle dinamiche.
Un metodo in qualche modo più complesso ed elaborato consiste nel
metodo, insegnato in alcuni ashrams indiani, viene consigliato anche da molti maestri, per quanto bisogna essere seguiti e molto scrupolosi sinchè non se ne è padroni.
Un terzo metodo è quello che si pratica nel sud dell’India e dunque nelle scuole più tradizionali. E’ questa una unione tra il primo e il secondo metodo di respirazione; consiste nel continuare a respirare più profondamente e lentamente del solito, per tutta la durata dell’asana e nel fare attenzione ad equilibrare rigorosamente la durata dell’inspirazione e dell’espirazione e respirare in Ujjayi: l’aria entra e esce facendo un rumore particolare contro il velo pendulo, dato dalla leggera contrazione della glottide. Si ascolterà solo un qualcosa simile ad un ronfare, poiché il respiro deve attraversare un percorso quasi “costretto”.
In realtà ogni posizione comporta un modo di respirare che le è proprio e
Ascolto e consapevolezza, affermano i maestri, solo in questo stato si manifesta il testimone silenzioso, cosciente ed immobile che c’è in ognuno di noi.