asfalto, cemento

Creato il 18 settembre 2012 da Gaia

Io abito in una via centrale di Udine, nel meno brutto di un gruppo di brutti palazzi anni ’60, progettato da un architetto che evidentemente non aveva né senso estetico né senso di come l’ombra della vegetazione possa avere un suo ruolo e anzi tornare utile quando sono trenta gradi di notte e annaspi disperato. Come vista c’era almeno un grazioso cortile-piazzetta, di fronte, quando i miei nonni hanno comprato la casa, ma la chiesa ha ottenuto il permesso di tirarci su sopra un ecomostro di oratorio bianco e rosso che rovina la vista da quasi ogni stanza più il corridoio. Per non parlare del diritto che per qualche motivo (fingo di non sapere quale) le chiese hanno di rincoglionirti di campane anche dieci volte al giorno, tanto da dover interrompere le telefonate. Perché? Lo sappiamo che ore sono!
Attorno a me ci sono case ben più belle, quelle vecchie, parecchie, che i proprietari lasciano cadere a pezzi. Quella subito adiacente alla mia, finalmente, è da qualche mese oggetto di un intervento di ristrutturazione. Nobile fine, per cui sono disposta a sopportare le polveri del cantiere che mi sporcano la casa, sperando che non siano tossiche, e il rumore di trapano e betoniera che inizia alle sette di mattina e va avanti tutto il giorno (il che non fa che rendermi più no tav ancora di prima: vivere accanto a un cantiere è un incubo). Peccato che il cortiletto della casa sia stato trasformato in un parcheggio puro asfalto e zero erba (destino di ogni ristrutturazione in città), e l’albero che c’era prima abbattuto. Ora non mi resta che osservare con apprensione i pulcini di piccione i cui genitori ignari hanno fatto il nido su una delle finestre senza poter capire le intenzioni umane che li minacciavano. ‘Crescete! Crescete in fretta!’, tifo ogni giorno dalla mia finestra mentre la sagoma di un operaio incombe dietro ai piccoli, anche se so che si tratta di mie proiezioni umane, che i piccioni sono infestanti, scagazzano dappertutto e trasmettono malattie, anche se non ho ancora capito a chi e come.
Il parcheggio che c’era in fondo alla stradina, aperto a tutti e con le piante tra cui ricordo un sambuco, è stato chiuso e asfaltato completamente (toh, hanno fatto quei parcheggi con i buchini attraverso cui cresce l’erba, ma capirai). Una volta fantasticavo di coltivarci le patate, se me l’avessero lasciato fare.
Dall’altra parte, invece, c’era un prato piccolo pieno di cicorie con i loro fiori color indaco, da cui sporgeva un albero che io nella mia mente chiamavo biancospino, perché nella mia ignoranza sono biancospini tutti i fiori bianchi di marzo che non siano palesemente di ciliegio. Hanno tagliato l’albero anche lì, e sopra il prato il cartello dei lavori dice che faranno un altro parcheggio.
Tutto questo mentre ogni pioggia si trasforma ormai in un incubo di fango, le montagne si abbassano per fare cemento, e si scopre che l’Italia non ha abbastanza terreno agricolo per sfamare gli italiani.


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