Ashura (アシュラ, Asura). Regia: Satō Keichi. Sceneggiatura: Takahashi Ikuko. Musica: Ike Yoshihiro, Ueda Susumu, Sumitomo Norihito. Produttore: Ikezawa Yoshi per Toei Animation Co. Ltd. Durata: 75'. Uscita nelle sale giapponesi: 29 settembre 2012.
Links: Sito ufficiale
Asura è piccolo, nero e molto cattivo. Un mostro-bambino nato nella miseria e cresciuto nella violenza: una delle primissime sequenze, di scioccante realismo, è quella del parto della madre di Asura, affamata e folle al punto da tentare di nutrirsi del figlio che ha appena dato alla luce.
Il film d’animazione di Sato Keiichi (già autore dei film di animazione ad episodi Karas e Tiger & Bunny, quest’ultimo vincitore del premio Best Anime for Television al Tokyo Anime Awards 2012), presentato all’ultimo Festival di San Sebastian tenutosi dal 21 al 29 Settembre, è basato sul manga omonimo di George Akiyama, scritto tra il 1970 e il 1971 e ne ripropone le atmosfere inquietanti, la drammaticità e la violenza.
Lo scenario è quello di un Giappone medievale dominato da macerie e carestia, sconvolto dalla guerra civile, nel quale masse di contadini affamati e disperati cercano un qualsiasi modo per garantirsi un minimo di sopravvivenza. Asura si aggira in questo deserto infernale con gli occhi di un lupo, il cui sguardo famelico è solo in parte nascosto da un ciuffo di capelli incolti e neri, e un’ascia con la quale uccide, per cibarsene, altri sventurati che ne incrociano il cammino. Gli incontri prima con un monaco e successivamente con una ragazza dolce e comprensiva di nome Wakasa, faranno sì che anche lui possa far emergere la sua umanità e aprire il suo cuore ai sentimenti. Ma il mondo è insensibile e cattivo, si sa, e la felicità questione di attimi…
Gran dispendio di computer grafica, un ritmo incalzante soprattutto nella prima parte, una particolare ed interessante attenzione allo sguardo: Asura osserva con insistenza Wakasa, quasi fosse quello il modo, più che la parola o il gesto, a permettere una qualsivoglia comunicazione tra “mondi” così distanti. Lui è un bambino aggressivo e asociale, lei una ragazza ben educata e generosa, ma osservandola Asura scioglie le sue resistenze e si trasforma. Non solo. Gli occhi rappresentano anche il segno del passaggio di Asura da bambino-animale a bambino-umano: per tutta la prima parte del film lo vediamo con occhi a fessura iniettati di sangue, quando poi l’affetto della ragazza riesce a fare breccia nel suo cuore, tornano ad essere scuri e tondeggianti. Il regista sottolinea il punto: nelle sequenze finali i contadini affamati avranno gli stessi occhi da “lupo”, simbolo inequivocabile della regressione animalesca.
Morale? Verrebbe da dire in prima battuta: a diventare buoni ci si rimette… O anche: la felicità e i sentimenti sono parentesi effimere in un mondo di esseri che non esitano a sbranare i propri simili…Forse però sono conclusioni facili e andrebbe invece seguita l’indicazione dello stesso regista, intervenuto al Festival a presentare la propria opera: dopo aver precisato come il progetto avesse subito un’accelerazione a seguito dei tragici eventi occorsi in Giappone l’11 marzo 2011, ha invitato gli spettatori a porsi di fronte al film pensando alla vita, vale a dire che nonostante sofferenza e distruzione sembrino in certi momenti prevalere, bisogna continuare a lottare per vivere anche in un mondo che pare ostile. [Claudia Bertolè ]
All’ultimo festival di San Sebastian, oltre al citato Asura, è stata presentata tutta la serie Shokuzai di Kurosawa Kiyoshi.