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Asia–Pacifico e proliferazione nucleare: nuove sfide e possibili rimedi

Creato il 25 settembre 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Daniel Angelucci

Asia–Pacifico e proliferazione nucleare: nuove sfide e possibili rimedi
La regione dell’Asia–Pacifico rappresenta bene le profonde sfide che la comunità internazionale deve affrontare sul fronte della non proliferazione nucleare. La globalizzazione ha trasformato la regione in uno dei più importanti hub commerciali del mondo, tanto che questa area del pianeta è sede di un gran numero di imprese che trattano tecnologie ad uso duale, e cioè, beni che possono essere utilizzati sia in campo civile che militare nucleare. D’altra parte si registra una complessiva crescita delle iniziative energetiche nucleari, con tutte le conseguenze che derivano da tale duplice tendenza sul piano dei rischi per la proliferazione delle Armi di Distruzione di Massa (ADM).

In tema di non proliferazione la problematica dominante è quella di prevenire che compagini statali acquisiscano per vie illegali risorse, strumenti e tecnologie da impiegare in programmi militari–nucleari. Attualmente la problematica si è allargata fino a comprendere i c.d. attori non statali definiti dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1540 del 2004, come gli individui o entità che non agiscono legalmente sotto l’autorità di uno Stato. Cosi, mentre a prima vista in Asia la minaccia più vistosa è data dallo sviluppo delle armi nucleari da parte della Corea del Nord, ad un livello più profondo troviamo la questione del commercio e del traffico illecito di beni duali e di materiali a rischio di proliferazione.

Si può ragionevolmente affermare che il mondo stia divenendo sempre più dipendente dalle tecnologie a rischio di proliferazione; infatti, i semiconduttori (indispensabili nell’elettronica avanzata e nei computers) possono, inoltre, essere utilizzati in una varietà di apparecchiature militari quali, satelliti, dispositivi a raggi infrarossi e transistori.

Non c’è dubbio che l’Asia–Pacifico è una delle regioni più dinamiche in termini di industrie ad alta tecnologia con una alta densità di traffico di beni strategici: la giapponese Mitsubishi, la cinese NORINCO Corporation, la sud coreana Samsung Electronics, sono alcuni degli esempi delle imprese che vi operano. In prospettiva, e salvo eccezioni come il Giappone, l’impiego di energia nucleare è destinato crescere in tutta l’Asia, dalla Cina alla Corea del Sud, dal Vietnam fino all’Indonesia. Ciò non può che accrescere i rischi di proliferazione atomica se si pensa che lo sviluppo dei programmi nucleari non solo comportano grossi flussi di beni e tecnologie sensibili che possono essere sottratte agli scopi pacifici, ma determinano (con le fasi di arricchimento e riprocessamento) anche la creazione di materiale a rischio.

Gli Stati interessati possono trovare soluzioni adeguate nella sfera economica, avendo la premura di proporre controlli sul commercio che non siano troppo stringenti ed atti a soffocare la crescita e gli scambi commerciali. Ad esempio, l’adozione di procedure ben definite per il commercio di beni strategici potrebbe facilitare gli scambi alle imprese che operano nel settore high–tech assicurando cosi maggiore trasparenza, efficienza e sicurezza nelle transazioni. Ad oggi, la legislazione interna di alcuni Stati fornitori previene che le imprese locali possano esportare prodotti e tecnologie verso quei Paesi che sono noti per applicare scarsi controlli nel campo della proliferazione.

Inoltre, lo stato di sviluppo delle leggi anti–proliferazione in Asia è assai variegato: infatti, mentre da un lato abbiamo stati come Giappone, Corea del sud, Cina e Singapore che sono dotati di legislazioni di settore, altri Paesi come Vietnam, Thailandia e Filippine sono quasi privi di normative in materia. Sul piano delle misure da adottare per prevenire e reprimere la diffusioni di Armi di Distruzione di Massa è il caso di sottolineare che la regione non è nuova a questo tipo di iniziative avendo nel 1995 costituito la Southeast Asian Nuclear Weapons – Free Zone, ovvero una zona comprendente il territorio di diversi Stati (Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam) che si sono impegnati a non acquisire, produrre o sviluppare armi nucleari. Accanto a tale strumento formale ci sono una serie di iniziative prese al livello della Association of Southeast Asian Nations (che comprende le stesse nazioni della Zona Libera da Armi Nucleari) dove si coopera in materie di spicco, quali regolazione dell’energia nucleare, disarmo, non–proliferazione. Ci sono tuttavia alcune iniziative che i governi dell’area Asia–Pacifico possono adottare per migliorare gli sforzi sul fronte della non–proliferazione.

In primo luogo c’è il coinvolgimento del settore privato: l’industria sta di fatto al cuore del successo o del fallimento dei tentativi di affrontare la problematica delle ADM. Nella misura in cui un maggior numero di imprese adempie correttamente alle regolamentazioni sul controllo delle esportazioni, meno i governi dovranno spendere nell’investigazione e penalizzazione delle violazioni. Sempre al fine di coinvolgere il settore privato, forme di cooperazione in campo economico come l’APEC (Asia Pacific Economic Cooperation) possono fungere da veicolo per accrescere la consapevolezza del rischio di proliferazione insito nelle transazioni commerciali e, di conseguenza, aiutare a diffondere linee guida di prevenzione.

E’ bene sottolineare che c’è nella regione un forte rischio che l’impegno politico verso la non–proliferazione rimanga, o persino si sviluppi, “a macchia di leopardo” dal momento che molti Paesi non dispongono né delle risorse economiche né delle competenze necessarie ad affrontare la problematica. A tal riguardo i Paesi più avanzati potrebbero scambiare conoscenze tecnico–giuridiche e risorse agendo tramite una vera e propria stanza di compensazione in modo da colmare lacune ed unificare gli approcci alla materia. A dire il vero uno strumento di compensazione è già previsto dalla Risoluzione 1540 a cui s’è fatto cenno sopra. Gli Stati possono fare domanda di assistenza per l’implementazione della Risoluzione al Committee istituito presso le Nazioni Unite. La Risoluzione in commento impone l’obbligo agli Stati di non dare sostegno (tramite qualsiasi mezzo) agli attori non statali nello sviluppo, acquisizione, produzione, possesso, trasporto, trasferimento o uso di Armi di Distruzione di Massa e dei relativi vettori. In altre parole gli Stati debbono dare conto e mettere in sicurezza tutti i materiali sensibili ed implementare efficaci controlli transfrontalieri attraverso adeguata legislazione.

* Daniel Angelucci è Dottore in Scienze Politiche (Università di Teramo)

Per approfondire:

Togzhan Kassenova, A Regional Approach to WMD Nonproliferation in the Asia-Pacific, Policy Outlook, Agosto 2012


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