Asor Rosa e gli scrittori "sardo-nazionali"

Creato il 01 aprile 2011 da Zfrantziscu
Ricorderete, immagino, la lunga discussione che su molti media e su questo blog c'è stata fra l'ottobre e il novembre scorsi su letteratura sarda e letteratura italiana. Su che cosa, cioè, definisca l'una e l'altra se non la lingua usata per farla. Molti, io fra di essi, sostengono che la narrativa sarda è quella scritta in sardo; molti, fra i quali i più convinti erano Michela Murgia e Marcello Fois, sostengono che non è l'uso della lingua sarda a definirne l'appartenenza. Non sono, evidentemente, questioni di lana caprina: intorno ad esse – tanto per capirci – si giocano interessi non solo culturali ed ideali, ma anche economici. In tempi di celebrazioni di Unità d'Italia e di retorica unitarista a gogò, quando tutto, da Dante ad Eleonora d'Arborea, è contrabbandato come atto preparatorio a futura memoria dell'unificazione, la questione non poteva passare in silenzio. La risolleva Alberto Asor Rosa, sollecitato da un giornalista sardo, Pasquale Porcu, che gli chiede: “le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia ci offrono l’opportunità per tracciare un bilancio del rapporto tra letteratura e unità nazionale: quali riflessioni si possono fare?”. Nella risposta, fra l'altro, sottolinea come “oggi ci siano molti giovani scrittori che nelle diverse regioni italiane non abbandonino la prospettiva nazionale”. Vale anche per quelli sardi, gli chiede Porcu. Accidenti! Vale eccome. Poco tempo fa, in questo senso, ho espresso un giudizio molto positivo su Michela Murgia. Esiste poi una tradizione letteraria sarda, soprattutto nel campo della narrativa che risale all’Otto e Novecento che arriva, sia pure con qualche interruzione, sino a Michela Murgia passando per Satta. Credo, insomma che la letteratura sarda contemporanea mostri una fenomenologia di grande rilievo soprattutto in rapporto a quello che succede in altre regioni italiane di maggiore peso politico ed economico. Basti pensare, a questo proposito, all’importanza di autori come Salvatore Mannuzzu e Marcello Fois. Si tratta, insomma di scrittori sardo-nazionali, allo stesso modo con cui un autore come Mario Desiati lo considero uno scrittore pugliese-italiano”. Sarebbe stato interessante sapere se, a suo parere, lo stesso vale per la letteratura in lingua sarda (su oltre duecento opere di narrativa si può ragionare) o se, come è legittimo pensare e come io penso, in Sardegna esiste una letteratura nazionale – quella sarda – e una statale, quella in italiano. Ma per poter rispondere, Asor Rosa avrebbe dovuto ricevere una domanda. E porre la domanda presuppone la conoscenza della realtà in cui si opera e una curiosità non ideologizzata. Resta il fatto che, secondo l'intellettuale marxista, è l'uso dell'italiano a definire la qualità “sardo-nazionale” (nazionale nel senso italiano, va da sé) degli scrittori citati e degli altri compresi nella categoria “scrittori sardi”. Si tratta, insomma, di una “letteratura regionale” alla quale – lo dico perché non trovo alcunché di male nella definizione – non mancherò di iscrivermi non appena uscirà il mio nuovo romanzo in italiano. Certo, quello di Asor Rosa è un parere, non una verità rivelata, per quanto egli passi in gran parte della intelligentsia sarda di sinistra per sacerdote della Dea Ragione e suo rappresentante in terra. Ma è pur sempre un parere autorevole. Chi sa se indigesto o comunque digeribile, visto che l'autore è “dei nostri”.

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