La calma è la virtù dei forti.
Lo dicevano, e lo dicono, anche i cinesi: “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico.”
Ma se la calma diventa indolenza, o viene interpretata come tale, allora non è più così tanto una virtù.
C’è da dire che la società non ha più ben chiaro quale sia il concetto di calma e di pazienza.
Tutti vanno di fretta e hanno fretta.
Nessuno vuole fare la coda al bar, al bancomat, al fast food (per restare in tema) o al cinema.
Nessuno tollera una pausa maggiore di un secondo e mezzo allo scoccare del verde al semaforo.
Sembra una sorta di allergia di massa all’attesa.
Non importa la durata, ci da i nervi la sua essenza, il fatto che esista e che ci rompa le palle.
Di contro, la gente è spesso indolente.
Sembra un controsenso ma è così; si nota soprattutto quando si tratta di prendere decisioni importanti, decisioni di vita.
In quei casi sembra che il rosso potrebbe rimanere acceso per sempre.
Non si sa di qui, non si sa di la, aspetto su, aspetto giù.
La decisione è responsabilità, e le responsabilità spaventano, angosciano, infastidiscono.
Ma l’indolenza e la procrastinazione sono vizi, non virtù. Sono sicuro il saggio cinese mi darebbe ragione.
Dovrebbe esserci un’inversione di tendenza.
Dovremmo imparare ad apprezzare di più i momenti d’attesa, e ad avere ribrezzo e fastidio per quelli di indolenza.
Nell’attesa abbiamo per prima cosa il tempo di pensare, di riflettere, cosa che si fa sempre meno.
Se lo si fa seriamente mentre si guida è un casino, rischiamo di ammazzarci.
Ma se siamo in colonna abbiamo il tempo di farlo.
Io odio il traffico, e odio le colonne, non dico il contrario mica sono fesso.
Dico però che quei momenti in cui, per un attimo, ho smesso di tirare madonne a quelli davanti a me mi hanno regalato qualcosa di positivo, qualche idea, qualche ispirazione.
Non è un’utopia quindi.
Richiede sforzo, voglia di rendere il tempo produttivo, e voglia di non incazzarsi (la parte più difficile).
Come richiede sforzo e sacrificio la lotta all’indolenza.
Quasi sempre coincide con una giustificazione a nostro favore. Nella stragrande maggioranza dei casi non è accettabile, o comunque non sufficiente.
La verità sull’indolenza risiede nella nostra allergia alle responsabilità.
Chi più, chi meno, tutti ce l’abbiamo.
Le odiamo queste maledette responsabilità, non giriamoci intorno.
Aspettiamo, aspettiamo, rimandiamo, rimandiamo…all’infinito.
Non c’è più il cogli l’attimo, ma il cogli “l’aspetta un attimo”.
Brutta roba.
Ci si bruciano le opportunità, le esperienze, le possibilità di seguire i nostri desideri, e lo accettiamo per avversione alla responsabilità della nostra scelta consapevole.
Perchè, quando uno sceglie, si sente subito responsabile di come potranno andare le cose, e quasi sempre è un finale pensato in negativo.
È come dire “Voglio, ma quello che Voglio mi fa paura, quindi è meglio Vorrei…”.
Eppure la “moda” di dire “io ho un sogno” appartiene praticamente a tutti.
Quasi nessuno sembra essere contento della vita che fa.
Più o meno tutti vorrebbero cambiare questo o quell’aspetto più o meno grande.
Perchè a tutti, nel profondo, l'idea di avere qualcosa per cui lottare e prodigarsi con passione da stimolo, nonchè un'idea più romantica della vita.
Solo che la moda del Sogno oggi va erroneamente a braccetto con la moda del Condizionale.
“Ah, se solo potessi”, “ah se solo riuscissi”.
"Se...", "Se...", "Se...".
Ma io dico “e se solo ci provassi?”. Ecco che li, spesso, c'è un tombino aperto: quello del timore.
Siamo fatti così, e non mi piace.
Combatterci richiede molti sforzi ed energie.
Le persone credono che coltivare i propri sogni sia facile solo perché è una cosa che tu vuoi fare.
Ma sono capaci solo di dirtelo e non di dirselo.
In ogni caso è bene precisare è proprio l’esatto opposto, perché spesso quello che uno vuol fare non coincide con il modus operandi della società, o per meglio dire con il suo Target.
Prendiamo, per esempio, un’aspirazione artistica.
Pensate, in tutta onestà, che oggi sia più facile mangiare e costruirsi una vita (economicamente parlando) essendo musicisti oppure medici,essendo pittori oppure geometri, essendo fotografi oppure commercialisti?
Esempio puramente esplicativo, ma chiaro.
Il fatto però che sia difficile, non costituisce una scusa valida per arrendersi ancor prima di partire.
Vale il concetto “meglio un giorno da leoni che cento da pecore”. In altre parole “meglio vivere tirando la cinghia ma finendo la giornata soddisfatti di quello che si è e di ciò che si ha costruito, piuttosto che avere una macchina da 100.000 € che ci riporta a casa dopo una gran bella giornata di merda, passata a lamentarsi e a fare quello che non ci piace, non ci soddisfa, ci annoia, ci aliena e logora dentro.
E se mi sentissi dire la consolazione risiede in quella macchina da 100.000 € o cosa d’altro, allora risponderei “goditela, ma sappi non durerà, perché le cose non danno soddisfazione vera, perchè si sono tue, ma non sono te.
Tappano un buco per un certo periodo di tempo fino a che non se ne apre un altro, più grosso e profondo da chiudere. Si chiama consumismo”.
Non è una morale, è un dato di fatto.
Se così non fosse i ricchi sarebbero felici, ma non lo sono, o almeno molti non lo sono.
Eppure chissà quante macchina da 100.000 e passa € avranno in garage.
Sono il primo a dire i soldi non solo servono, sono indispensabili.
Senza soldi sei fottuto, ed è così da sempre.
Ma quello che dico è un altro, che la vera soddisfazione risiede nei propri risultati personali misurabili in capacità che ci rendono unici, ci rendono quello che realmente siamo.
Il denaro non fa questa differenza perchè è merce di scambio, e come tale va e viene.
Se vivi per il denaro e lo perdi, perdi tutto e perdi te stesso.
Non vali più nulla e non hai più nulla da offrire.
Non deve essere piacevole da provare.
Comunque, il titolo era "Aspetta che così ti passa...o forse no?".
Dire no, senza forse.
Personalmente cercherò sempre di vivere i miei sogni.
Non voglio vivere nel condizionale.
Non voglio vivere di rimpianti.
Mi costerà? certo.
Sarà facile? assolutamente no.
Nè varrà la pena? sempre.
Come andrà? non lo so, ed è questo il bello.