Le due strade corrono dunque parallele da questo punto di vista anche se si divaricano completamente negli effetti a medio termine: da una parte un Paese dentro la moneta unica, privo di qualsia autonomia di azione, sottoposto a un continuo ricatto, mangiato pezzo a pezzo dagli interessi multinazionali, espropriato dei beni potenziali (vedi gas nell’egeo) e costretto a un impoverimento continuo. Dall’altra un Grecia che dopo due o tre anni di caos di grandi difficoltà ritrova competitività grazie al differenziale monetario e non ai massacri sociali che finiscono per deprimere ancora di più l’economia, secondo uno scenario argentino. Ecco perché molti economisti di nome tra cui Krugman e Munchau suggeriscono l’uscita dall’euro come la strada tutto
Ma se dal punto di vista del debito e delle reali possibilità di ripagarlo le soluzioni sono pressoché simili, ecco che appare chiaro come che il ricatto europeo su Atene abbia una valenza del tutto politica e volta ad affermare un modello di società diseguale dove al profitto resta campo libero, mentre il lavoro e la persona viene spogliata dei suoi diritti, delle tutele, del futuro e costretta a un salario o a una pensione miserabile. L’euro serviva e serve proprio a questo: ad essere il totem monetario grazie al quale dimostrare la futilità della democrazia di fronte al Golem economico e a giustificare l’impossibilità contabile del welfare visto che il denaro non è in mano ai governi.
Vorrei sperare che questo sia ben chiaro a Tsipras, Varoufakis e a Syriza e che la resistenza fino a qui contrapposta ai diktat non sia una sorta di mimesi dell Termopili alla fine della quale i persiani riescono a passare. Insomma una resistenza prolungata per far inghiottire meglio il boccone amaro e l’idea che la permanenza nell’ Europa deviata di oggi sia più importante che battersi per i valori europei originari. Così come dall’altra parte non c’è alcun interesse a tenersi la Grecia senza la possibilità di continuare a tenere in piedi il laboratorio reazionario allestito all’indomani della crisi.
Ma alla fine ciò che davvero conta nella scelta è il livello prepolitico: ovvero se è più forte la pulsione di aggrapparsi a quel poco che resta anche se in mancanza di prospettive e in un continuo declino, puntando tutto sul numero della lotteria individuale come suggerisce l’egemonia del pensiero unico o prevale la voglia di rischiare e ricominciare sulla base di una rinnovata visione sociale. Questo è il problema e ci riguarda tutti.