Aspettare, ascoltare, resistere.

Creato il 11 novembre 2014 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

And It’s hard to hold a candle
in the cold november rain.

Oramai questo blog è un diario di viaggio. Ho sempre pensato che affetto chiama affetto e forse ci credo ancora, nonostante tutto. Il ciclismo non è solo una metafora della vita, è anche un buon collante per sentirsi più vicini e dirsi qualcosa di quello che mulina dentro, un po’ come le foglie di questa stagione che io non riesco a farmi piacere.

Novembre è un mese di pioggia infinita. I bilanci non fanno per me, troppo tecnici per una che disegnava di nascosto sotto il quaderno di matematica. Una cosa che mi piace è guardare avanti. Più che altro mi salva. Da tutto. Da quello che la gente fa senza saperlo e un po’ fa male (o forse tanto), dalle bugie che ancora non riesco a sopportare e non ho ancora capito come dirle. E’ difficile reggere una candela nella fredda pioggia di novembre, cantava Axl Rose che per me non è mai invecchiato ed è rimasto il ragazzo anni ottanta coi capelli lunghi e il foulard un po’ hippie legato in testa. E’ difficile reggere quella candela. Ma allo stesso tempo, la fiamma è l’unica cosa che dà luce. Un po’ come scrivere, un po’ come il ciclismo. Tante volte penso a quando mi sono sdraiata sulla schiena della montagna a Risoul. Guardavo il cielo bianco. Faceva caldo e ogni tanto mi piovigginava sulla faccia. Un po’ di pioggia, un po’ di sole.

E il brulicare delle voci che salivano verso l’arrivo delle quali non vedevo il volto. Ogni tanto faccio questo giochino di immaginarmeli. Assegno dialoghi, compongo corpi. E’ un esercizio. Tante volte ci penso a quelle ore di attesa a braccia conserte, un po’ a guardare il cielo, un po’ con gli occhi chiusi. Ecco, il ciclismo mi ha insegnato il senso dell’ascoltare e dell’aspettare. Son cose che mi hanno messo radici fin da bambina. Piccole radici attorno agli organi vitali, aggrappate come l’edera sui muri. Non ho mai capito il perché. Aspetto da una vita, con una pazienza e una tenacia che a volte stupisce anche me stessa. Ascolto da una vita. Tutto e sempre di più. I frammenti di certi dialoghi ogni tanto tornano a galla, anche se sono passati anni. Aspettare, nel ciclismo, ha un senso tutto suo. E credo che non ci sia un’attesa spiegata meglio che questa qui. Ore e ore nello stesso punto, attaccati a una transenna, seduti su un marciapiede, per vedere un passaggio. Il tempo, quel tempo vuoto che sacrifichiamo per un qualcosa di importante, diventa stranamente pieno. Aspettare si trasforma in un rito.
E ascoltare è una cosa a parte. Per capire un’anima bisogna provare ad ascoltarla con gli occhi chiusi. E anche qui, dove la fatica sembra essere vera solo se vista, solo se scolpita sulle facce lucide e scavate agli arrivi, anche qui il cuore pulsante si ascolta ad occhi chiusi. Il rumore dei tacchetti, delle ruote, una borraccia che rotola sull’asfalto. E il silenzio.
C’è la solita pioggia di novembre là fuori. Ma questa volta forse è il tempo di aspettare qualcosa di bello per davvero. Mi sono sempre sentita un’intrusa nelle vite altrui e mi capita ancora adesso, qualche volta. Eppure in questi anni ho capito che la strada percorsa inseguendo partenze e arrivi voleva dirmi in mille modi che era quella per me. Il posto dove sentirmi a casa dovunque. Un vento che assomiglia a quello che porta l’odore del lago. Porta via tutto e lascia solo le cose belle, che sanno aggrapparsi davvero.
C’è la solita pioggia di novembre e c’è quella candela che è difficile da reggere però sono abituata a proteggere le cose che mi stanno a cuore. E a resistere, quello sì, sono sempre stata brava.