Da piccola sognavo di fare il medico.
In ordine cronologico ho sognato di fare:la macellaia, la ballerina, la madre teresa di calcutta, la strizzacervelli, l'attrice drammatica, la scrittrice drammatica, la cabarettista, la neurologa, la psicoterapeuta di coppia.
Però il ricordo più forte e vivido è quello del desiderio di diventare medico.
Volevo fare il dottore per poter scrivere con quelle penne panciute e scorrevoli sul ricettario gonfio, rosa e liscio, mettere il timbro con un gesto secco, riporre la penna nel porta penne con la scritta AUGMENTIN 500, dire lentamente mentre il paziente ti ascolta in religioso silenzio:" allora lei adesso MI fa, questo e questo prima di pranzo e cena" anzi avrei detto "prima dei pasti", sognavo di poter chiudere la visita con un: "mi raccomando signora, mi faccia sapere come va" tendendo la mano, non vedevo l'ora di giocherellare con la penna-lucetta, di profferire la frase:" dica trentatrè" e scoprirne finalmente il motivo, vendicarmi di tutti i secchi abbassalingua che mi hanno ficcato impietosamente in gola durante tutta la mia linfatica infanzia.
Avrei voluto fare il medico, usare la siringa ed il laccio emostatico, togliermi dalle orecchie lo stetoscopio e gonfiare la pompetta dello sfigmomanometro con quella faccia concentrata ed attenta come di chi ascolta il mare racchiuso in una conchiglia.
Avrei voluto dire alla mia segretaria:" basta per oggi Vania, vada a casa mi sembra così stanca, ci vediamo domani".
Avrei tanto voluto fare la dottoressa, avere quelle rotelle per controllare i percentili, i quadri scientifici appesi dietro alla poltrona, un' elegante lampada da tavolo per illuminare ricette e scatole di sciroppi.
Avrei voluto fare il medico non tanto per giurare a Ippocrate, quanto per mantenere a Ippocrate.
Avrei voluto guarire qualcuno e tornare a casa più leggera.
Che razza di nome Vania...