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Assad, le due generazioni di accumulatori d’armi: ecco perchè un attacco sarebbe deleterio

Creato il 08 settembre 2013 da Jackfide

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Confusione è una parola inventata per indicare un ordine che non si capisce. E in questo momento sembra che qualche dettaglio sfugga all’ordine delle cose. Il presidente Obama sta affrontando enormi difficoltà nello sforzo di convincere un Congresso riluttante all’idea dell’intervento militare in Siria. In aggiunta, a dispetto dei suoi nobili tentativi parlamentari, c’è un’opinione pubblica interna sempre più scettica all’ipotesi di punire il regime di Damasco con un attacco militare, fatto salvo l’espediente di colpire Assad per il presunto utilizzo di gas nervino mortale durante il mese scorso.

Ora,  al di là della validità o meno della tesi secondo cui sarebbero state le forze di Assad a fare uso di testate chimiche, occorre spostare l’attenzione sui processi storici che hanno permesso alla famiglia alawita di accumulare questa enorme riserva d’armi. Difatti, mentre alcuni paesi condannano da tempo la Siria per il suo vasto arsenale, pochi hanno realmente indagato sulle origini dell’effettivo accumulo di testate da parte degli Assad. Evidentemente, il desiderio di trarne profitto è stato nel tempo forte quanto il silenzio.

Secondo Juan C. Zarate, un ex vice consigliere per la sicurezza nazionale in lotta contro il terrorismo durante l’amministrazione di George W. Bush, negli ultimi anni i governi degli Stati Uniti che si sono susseguiti hanno dedicato maggiori attenzioni ad altre priorità, come il programma nucleare iraniano e le minacce della Corea del Nord. Lo stesso Zarate, che nel frattempo ha scritto un libro sugli sforzi americani messi a punto per reprimere il finanziamento illecito ai gruppi terroristici e agli Stati (tra cui la Siria , l’Iran e la Corea del Nord), ha dichiarato al New York Times che la questione dell’accumulo di armi da parte degli Assad è sempre stato un problema presente, mai però salito in cima all’ordine del giorno delle priorità.

Esperti dei sistemi anti-proliferazione hanno confidato che i governi siriani negli ultimi trent’anni, quello di Hafez al – Assad prima e di Bashar al – Assad poi, sono stati notevolmente aiutati nelle loro ambizioni di costituire vasti arsenali di armi chimiche. Ma per comprendere questo passaggio è necessario spiegare un semplice postulato di base; spesso i materiali per la fabbricazione di armi erano esportabili legalmente, nonostante fossero finalizzati alla costruzione di armi chimiche mortali. Da quando Obama è entrato in carica, tra i funzionari del Pentagono è cresciuto sempre di più l’allarme per la facilità con cui Assad utilizzasse una rete di società di copertura allo scopo di importare i componenti necessari per creare gli agenti nervini VX e Sarin, veri e propri veleni chimici mortali vietati a livello internazionale. Queste sono le indiscrezioni trapelate dai dispacci diplomatici di Wikileaks. Stiamo dunque parlando del gas Sarin che l’amministrazione statunitense ha identificato sulla carica dei razzi lanciati negli attacchi del 21 Agosto presso Ghouta.

I dispacci diplomatici e altri documenti di intelligence indicano che le due generazioni di Assad hanno avuto il tempo necessario per costruirsi un’enorme arsenale di armi chimiche, proprio grazie a questa sottile strategia d‘import. Sfruttando il caos che seguì al crollo dell’Unione Sovietica, il regime di Damasco provvedette a creare un fitto network di aziende apparentemente legali, attraverso le quali avveniva l’importazione di sostanze chimiche spacciate per usi legittimi. Un generale russo responsabile allo smantellamento di vecchie armi chimiche sovietiche, morto dieci anni fa, fu in seguito identificato da un collega come l’uomo che avrebbe aiutato il governo siriano a stabilire il proprio programma di testate chimiche.

La crescita della capacità dell’arsenale siriano è stata oggetto di un cable segreto trasmesso dal Dipartimento di Stato a nome del Segretario Hillary Clinton nell’autunno del 2009. Nel messaggio, i diplomatici venivano informati del “fallimento nella lotta al flusso di prodotti chimici e attrezzature in Siria , Iran e Corea del Nord”.

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Ma, i funzionari statunitensi sostengono pubblicamente di aver fatto molto da allora per limitare il traffico di materie prime impiegate nell’industria delle armi chimiche in Siria. Ad esempio, è stato scoperto che il Syria’s Scientific Studies and Research Center, impresa governativa siriana, rappresenta il principale agente catalitico per lo sviluppo segreto di armi. Alle operazioni dell’intelligence americana contro la proliferazione di armi va ricollegato anche l’attacco degli israeliani al convoglio di missili SA – 17 di fabbricazione sovietica compiuto nel mese di gennaio in Siria; secondo i collaboratori del Pentagono, il cargo conteneva armi dirette a Hezbollah verso il Libano.

Già nel 1991 , durante la presidenza Bush senior, alcuni documenti raccolti sotto il National Intelligence Estimate dell’intelligence rivelarono che in Cecoslovacchia e in Unione Sovietica erano attivi sistemi di distribuzione di armi chimiche che raggiungevano illegalmente Damasco. La stessa relazione ha concluso che la Siria, molto probabilmente, possedeva 500 chilogrammi di bombe aeree contenenti gas sarin. Rimarchiamo: si tratta apparentemente delle stesse testate montate in cima a razzi che hanno ucciso centinaia di persone nella periferia Ghouta di Damasco il 21 agosto.

A questo punto, non ci aspettiamo che il Presidente Obama renda esplicite le motivazioni della perseveranza nelle operazioni militari da condurre contro il regime di Assad, che senz’altro si rifanno alla sequela di avvicendamenti relativi al traffico di armi chimiche delle generazioni di Assad. Ma credo che su almeno una questione si possa essere d’accordo con l’amministrazione statunitense: la Siria non è l’Iraq né l’Afghanistan. Non solo per i moventi che animano un eventuale intervento, ma anche e soprattutto per le conseguenze che questo potrebbe avere. Al contrario di Assad, Saddam Hussein al momento dell’attacco americano non godeva di appoggi influenti né di protezioni da parte di potenze come Russia e Iran.

E i flussi d’armamenti, chimici e no, coinvolgono sia la Russia che l’Iran, attori non proprio malleabili dal punto di vista diplomatico. Questo ormai è chiaro. Lo si è visto in occasione del G20; Putin è disposto a dare manforte al regime di Damasco, senza peraltro specificare come. E la tensione sull’Iran potrebbe accendere una miccia detonante sulle rivendicazioni dei sauditi e degli isrealiani, animati dal desiderio di risolvere una volta e per tutte la questione del nucleare con Teheran. Un attacco aereo su Damasco dunque, per quanto limitato o circoscritto si manifesti, potrebbe innescare delle conseguenze deleterie; senza dimenticare che Assad potrà comunque continuare ad operare in esilio, magari in Iran. E a quel punto la faccenda si farebbe decisamente più complicata.



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