L’intuizione di Universo che mi piace di più è quella di un cuore che batte: miliardi di anni, un singolo battito. In questo senso non ho dubbi sul fatto che tornerà a contrarsi, che ci sarà un Big Crunch e poi un nuovo Big Bang e così via all’infinito. Se i nostri cuori battono, e a farli battere è l’Amore, saremo in armonia, in sincronia col Cuore più grande. Altrimenti languiremo nel nostro piccolo inferno. La mia armonia, la mia sincronia, la mia salvezza, è l’Amore per mio figlio Paolo.
Sarò sempre perseguitato dal rimorso dell’unica volta che pianse per colpa mia. Era un pomeriggio festivo inoltrato, e si passeggiava pigramente io e lui sul lungolago, in un paesotto dalle parti di Varese. Oltrepassammo un punto in cui stavano assiepati, quasi gomito a gomito, non meno di venti pescatori, in agguato dietro le loro lunghissime canne. Poco più in là, Paolino ebbe l’idea di gettare un sasso nell’acqua. E io cosa feci? Io lo sgridai, dicendogli con severità e a brutto muso la sciocchezza che qualsiasi genitore più o meno conformista, educato e di buon senso gli avrebbe detto: Fai scappare i pesci! Lui protestò: Ma io voglio che scappano! Così non li ammazzano, quei brutti!, e poi scoppiò in un pianto disperato. Aveva ragione lui, naturalmente. Fra l’altro era un lago inquinato, per cui non valeva neanche l’eterna romantica scusa del “procurarsi cibo sano come ai bei vecchi tempi”. Era solo per sport, per il divertimento di massacrare dei piccoli esseri, facendogli patire le pene indicibili delle ferite lancinanti in bocca e del dibattersi a lungo fuori dall’acqua, prima di trovare clemenza nella morte. Uccidere per sport e nel modo più disgustoso: fingendo di nutrirli, per farli cadere in una subdola trappola. Perché i piccoli esseri vedono l’esca. Ma non vedono l’amo adunco, né il filo, né la tua rozza faccia sadica nascosta lassù. Chissà perché, gli animi sensibili che giustamente si indignano per la caccia, non lo fanno invece quasi mai per la pesca. Eppure “Caccia & Pesca” vanno a braccetto, nei nomi delle riviste e sulle insegne dei negozi. Dopo quella volta, per mesi e mesi il nostro più grande divertimento divenne l’andare al lago apposta a tirare i sassi dispettosi per “spaventare i pesci”. Rischiai di buscarle, s’intende. Ebbi un paio di violenti alterchi con degli energumeni, e uno sgradevole vecchio mi mise le sue manacce, puzzolenti di pesce moribondo, addosso. Eppure, malgrado quel mio riscatto, ancora non riesco a perdonarmi per aver fatto piangere Paolo la prima volta. Per essere stato così stolidamente adulto. Così adulteratamente normalozzo e ammaestrato. Invece di capire e diventargli subito complice, al volo, da quel Peter Pan che a parole pretendo di essere. Lanciando subito anche il mio sasso per salvare qualche vita e poi fuggendo via con lui, ridendo insieme a crepapelle, e poi premiandoci con un bel gelato al limone e fragola con la panna montata.
Immaginarsi quindi lo spavento. No. Spavento è poco. Il terrore. Il terrore nello scorgere in lontananza il mio Paolo, nel parchetto davanti alla scuola, verso cui mi dirigevo di corsa per andarlo a prendere con cinque (vabbè, venti) minuti di ritardo, nello scorgerlo in compagnia di un altro uomo. In piedi davanti a quell’unica panchina di pietra sotto i salici piangenti. Con un altro uomo che non ero io. Perché Paolo si fida di tutti. Non c’è verso di convincerlo del contrario. Se uno sconosciuto gli si avvicina, lui ci parla. Non dico sia disposto a seguirlo fiducioso, ma ci parla, e starebbe lì delle ore a parlare con lui, e dicendogli la verità su tutto, come se lo conoscesse da sempre. L’uomo era un piccolo tamarro olivastro, dal collo taurino. La mia persecuzione-ombra di questi ultimi tempi. Collo Taurino mi vide sopraggiungere e rapido si dileguò, svanì. Inseguirlo? Sì, domani. Ero piegato in due per il fiatone. Non dovevo essere un bello spettacolo. Devo smetterla con le sigarette al mentolo.Chi era quello?Un signore…Ma che voleva da te?Dice che conosce la mamma. E forse qualche giorno la mamma non può venire a prendermi e allora viene lui.(Cristo!)E tu cosa gli hai detto?Gli ho detto che se non viene la mia mamma viene il mio papà.Bravo.Sì, e gli ho detto anche che il mio papà ha le mani magiche.E lui?Mi ha detto che ci fai con le mani magiche.E tu?Le scurege!
Ma che tipo era, ti sembrava bravo o cattivo?Era bravo, ma cattivo.E come fa uno a essere sia bravo che cattivo?Non lo so. Lui era bravo, ma cattivo.Come spiegargli il viscidume e l’infida ipocrisia degli uomini di merda? Per lui, se uno dagli occhi cattivi ti approccia con untuosa e falsa gentilezza, non è un pericoloso serpente a sonagli: è uno “bravo ma cattivo”.E papà? È più bravo o più cattivo?, gli chiedo mentre lo stringo al mio fianco nell’andarcene da lì.Te sei solo bravo, mi dice tutto serio e compìto. Poi, mettendosi a ridere: Però fai i figli mongoli!
Vedendo che la cosa invece di farmi, come di solito fa, sorridere, rischia di farmi scoppiare a piangere, il suo cuoricino tenta di gettarsi in mio soccorso, e mi si stringe addosso ancora più forte mentre zampetta al mio fianco.Cantiamo Pippoloni papà?E così ce ne andiamo via cantando un’altra delle nostre storpiatelle hit. Stavolta tocca ai R.E.M.:Shàiny appy Pippoloni…
Le ho sempre trovate divertenti, queste storpiature maccheroni-che. Quando l’arbitro sbaglia di brutto contro la loro squadra, i tifosi inglesi, ovviamente, non si mettono a cantargli “Erroracciooo, o ‘mbecilleee…” Però, fateci caso la prima volta che ne avrete l’occasione, a un orecchio italiano suona proprio così! In Wild of the isle di Linda Wesley si sentono distintamente prima “Chella la tas mai” (Quella non tace mai) e poi “Questo s’è inciocado” (Questo s'è ubriacato). Verso la fine di I’m goin’ down di Springsteen, risuona un bel “E vaffanguglia”.