“Assalto alla Diaz” (Senza finzione): un libro che anticipa gli esiti in giudizio

Creato il 22 giugno 2010 da Stampalternativa

Quando siamo partiti con la collana Senza finzione, avevamo un punto di partenza e uno scopo. Il primo era di cogliere alcuni temi urgenti o caldi del dibattito pubblico. Il secondo rispondere a questi temi con dei libri che li sviscerassero. A un anno e mezzo dall’avvio della collana, possiamo dire che in più di un caso abbiamo raggiunto quanto ci eravamo prefissi. Lo dimostra il libro Assalto alla Diaz di Simona Mammano alla luce delle recenti sentenze: la condanna in appello a Gianni De Gennaro, nel 2001 capo della polizia, e a maggio, sempre in secondo grado, quella ai venticinque imputati per le violenze all’interno della scuola genovese. Per questo riproponiamo un estratto dal libro dell’autrice di Assalto alla Diaz. (Antonella Beccaria, co-direttrice della collana Senza Finzione)

Il prefetto, con provvedimento del capo della polizia De Gennaro, viene incaricato di sovrintendere a tutta l’organizzazione dei servizi di ordine pubblico, in occasione del G8. Durante quei giorni, Ansoino Andreassi era convinto di avere la funzione di vicecapo della polizia. In realtà non è così: dal 1° luglio era stato rimosso senza che gli fosse notificato (come invece è d’obbligo) il provvedimento che cambiava la sua funzione. Tale provvedimento fu adottato dal ministro dell’Interno su conforme decreto del presidente del Consiglio dei ministri.

Andreassi spiega che già la mattinata di sabato 21 luglio aveva notato un cambio di indirizzo voluto dal capo della polizia. Verso le 11 le telecamere di un elicottero inquadrarono un furgone all’interno del quale si vedevano persone che distribuivano mazze ai dimostranti. Dal giorno precedente erano stati visti ragazzi vestiti di nero, con passa-montagna e caschi, che si rifornivano in punti diversi della città. Molte persone lo avevano segnalato alla centrale operativa di polizia e carabinieri, che si erano messi alla sua ricerca. Era necessario intercettarlo, ma al momento di agire De Gennaro chiamò Andreassi per comunicargli che quell’intervento doveva essere affidato a Gratteri, dirigente dello SCO (Servizio Centrale Operativo).

L’operazione consisteva nella perquisizione alla scuola Paul Klee, dove vennero arrestate una ventina di persone e dove furono rinvenuti pezzi di autoradio della polizia o dei carabinieri e altri oggetti che rendevano possibile un coinvolgimento dei fermati negli scontri del giorno precedente. Affidare l’intervento a Gratteri, secondo Andreassi, significava un cambiamento, vale a dire la necessità di mobilitare le unità ritenute più efficienti, più rapide, per procedere agli arresti, visto che la città era stata devastata poche ore prima e la reazione da parte delle forze dell’ordine non era stata abbastanza efficace.
Alle 14 il capo della polizia telefonò ad Andreassi per comunicargli che avrebbe mandato il prefetto Arnaldo La Barbera a dargli una mano. Anche l’invio di La Barbera non aveva significato visto che arrivò alle 16, a manifestazione conclusa, quando i dimostranti stavano defluendo e l’emergenza era cessata. Si trattava, chiarisce Andreassi, “di effettuare un’azione più incisiva, procedere ad arresti per cancellare l’immagine di una polizia che era rimasta inerte di fronte alle azioni di devastazione e di saccheggio della città”. L’arrivo di La Barbera si accompagna alla disposizione del capo della polizia di formare dei pattuglioni il cui scopo, secondo Andreassi, era la ricerca di persone coinvolte negli scontri dei giorni precedenti.

La polizia reagisce

Dopo l’assalto in via Cesare Battisti, i poliziotti coinvolti vengono chiamati in questura e Di Bernardini viene accompagnato da Francesco Gratteri per riferire al questore Francesco Colucci. Alla prima riunione partecipano, oltre allo stesso Colucci, i prefetti Andreassi e La Barbera, i dirigenti superiori Gratteri e Spartaco Mortola.

Viene deciso un sopralluogo davanti alla scuola Diaz per capire quante e quali persone fossero ferme in strada. L’incarico viene dato a Mortola, che al ritorno in questura riferisce di avere constatato un certo fermento, per la presenza di individui vestiti di nero che bevevano birra. Come riferisce Mortola, in giro sembravano esserci anche “alcune vedette”.

Andreassi non partecipa alla seconda riunione ‘tecnica’, che si svolge immediatamente dopo la prima nella stanza del questore, per decidere le strategie della perquisizione alla Diaz. A questa riunione, oltre al questore, sono presenti il prefetto La Barbera, Mortola, Gratteri, Gilberto Caldarozzi, Nando Dominici e Vincenzo Canterini1. La decisione è di procedere a una perquisizione ai sensi dell’articolo 41 del Tulps (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), che consente di perquisire qualsiasi luogo alla ricerca di armi senza avvisare preventivamente il magistrato. Andreassi riferisce di essere stato d’accordo con la decisione, perché sulla base dei presupposti (l’attacco al pattuglione) si poteva procedere all’identificazione. Riteneva però che la perquisizione fosse troppo rischiosa, opinione questa del tutto isolata. Andreassi, quindi, decide di non partecipare al resto della riunione, nella quale si deve mettere a punto la stategia per l’irruzione nella Diaz. Fu deciso di utilizzare il VII nucleo sperimentale, squadra speciale del reparto mobile2, la Digos, la squadra mobile e il reparto prevenzione crimine.

In merito alla perquisizione alla Diaz, il prefetto Andreassi nell’udienza del 23 maggio 2007 dichiara:

Io ho vissuto questa perquisizione come una calamità che era capitata, della quale francamente non ritenevo di essere in qualche modo coinvolto, anche perché altre persone erano state incaricate di seguire questa storia, né rientrava nei miei compiti: io ero fuori, la mia funzione era quella dell’ordine pubblico e mi sono preoccupato della vicenda Diaz per quel tanto che poteva ricadere sull’ordine pubblico, la vissi come un fastidio. Mortola, come deciso durante la riunione, chiama Stefano Kovac, responsabile del Genoa Social Forum, per informarsi se il plesso Diaz sia ancora affidato al movimento. Le dichiarazioni a questo proposito sono discordanti: Kovac asserisce di avere avvisato Mortola che la Diaz era il riferimento del GSF e che all’interno c’era anche la loro sala stampa. Mortola, al contrario, afferma che Kovac rispose in maniera vaga: avrebbe detto di non sapere se dentro vi fossero estranei non autorizzati dal GSF.

Gabrio Barone nella sentenza scrive:

Il teste Kovac coordinatore del GSF, ha confermato di aver ricevuto verso le 21,30-22 una telefonata dal dr. Mortola, ma ha negato di aver detto che la situazione all’interno della Pertini non fosse più sotto controllo. Va in proposito osservato peraltro che, se anche il Kovac avesse in effetti espresso qualche riserva circa le persone che si trovavano all’interno della Pertini, ovvero sull’effettivo controllo di tale stabile da parte del GSF, ben difficilmente, dopo quanto accaduto, l’avrebbe ammesso. Le stesse perplessità da lui esposte circa il fatto che quanto detto in tale telefonata avesse in qualche modo potuto incidere sulla decisione di procedere all’intervento della Polizia, indurrebbero a ritenere che quanto meno qualcuna delle risposte alle domande del dr. Mortola potesse in effetti essere in qualche modo equivoca o poco precisa, tanto da venire interpretata nel senso indicato dal dr. Mortola. Alla precisa domanda del P.M.: “Può escludere di avere dichiarato che la situazione all’interno della scuola Pertini non era più sotto il vostro controllo?” Kovac risponde: “Non posso… posso ribadire quello che ho detto prima, cioè non ho detto questa cosa anche perché le due scuole sono esattamente una di fronte all’altra, a distanza, forse, di 20 metri l’una dall’altra e appunto, tutti i maggiori responsabili, non so come dire, dirigenti se vogliamo dire così, del Genoa Social Forum, in quel momento, si trovavano lì”; e alla domanda del difensore, avv. Mascia, circa il trasferimento alla scuola Diaz di giovani in precedenza sistemati allo stadio Carlini e in altri luoghi tra cui la Sciorba, risponde: “…provenivano un po’ da tutte le parti anche nel senso da tutti i centri; in particolare, fra i posti più colpiti, non so come dirle, dalle piogge, dove c’erano state più difficoltà era, in parte, lo stadio Carlini, ma soprattutto la zona di Albaro…”. Ciò che comunque rileva in questa sede è principalmente il fatto che la telefonata sia avvenuta, atteso che la stessa non avrebbe potuto avere altro scopo logico e plausibile se non quello di accertare se all’interno della Pertini si trovassero persone estranee al GSF e da questo non controllate. L’affermazione del Kovac circa l’avvenuto trasferimento alla Pertini di numerosi giovani da altri centri di raccolta, quali la Sciorba, via Albaro, il Carlini, poteva altresì far ritenere che ormai in detta scuola si trovassero in effetti anche persone del tutto estranee al GSF.

Il questore di Genova Colucci, nell’udienza del 3 maggio 2007, descrive così le riunioni avvenute nel suo ufficio:

La sera mentre ero in ufficio insieme ad Andreassi, La Barbera, Gratteri, Murgolo e mi pare Luperi, giunsero il dr. Caldarozzi ed il dr. Di Bernardini che dissero di essere stati aggrediti con un lancio di sassi durante il passaggio della pattuglia davanti al complesso scolastico Diaz. Ci si chiese che cosa fare e così venne incaricato il dr. Mortola di recarsi sul posto per verificare la situazione al fine di decidere se intervenire. Il dr. Mortola si recò sul posto in motocicletta, passando davanti all’edificio e al suo ritorno disse che sul posto vi era una situazione pesante: persone vestite di nero e con aspetto poco raccomandabile e aggressivo. Il dr. Mortola su mia indicazione telefonò anche a Kovac, che era il referente del GSF a cui il Comune aveva affidato la struttura scolastica; Kovac disse telefonicamente che avevano abbandonato quella sede perché era iniziato il deflusso e che non sapeva chi vi fosse entrato. Ciò Kovac disse telefonicamente al dr. Mortola, che mentre parlava al telefono ripeteva a voce alta in mia presenza. Proprio in base a tale risposta si decise l’intervento. Se Kovac ci avesse detto che la scuola era ancora a loro disposizione non saremmo intervenuti, perché sarebbe stato un atto politicamente controproducente. Nessuno espresse perplessità se non il dr. Mortola che temeva le conseguenze dell’operazione, anche tenuto presente che ormai la manifestazione era terminata. Io gli dissi che in quella situazione avremmo comunque dovuto procedere.

Nella riunione si decise quindi in pieno accordo di intervenire per identificare gli aggressori e l’eventuale presenza di armi e quindi di effettuare una perquisizione. Gli aggrediti erano quelli che spingevano di più per intervenire. Certamente ero piuttosto condizionato dalla presenza dei vertici della polizia; capii che l’intervento era ben gradito, che vi erano in effetti gli elementi per disporlo e così venne deciso. Anch’io ero convinto comunque della necessità di intervenire.

Assalto alla Diaz. Polizia e G8 – L’irruzione del 2001 ricostruita attraverso le voci del processo di Genova di Simona Mammano
Collana Senza Finzione
204 pagine
ISBN: 978-88-6222-080-4


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