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Assassin’s Creed: Rogue – L’uomo che mise in ginocchio gli Assassini

Da Videogiochi @ZGiochi
di Giovanni "Giopa" Panzano

Si sa, da parte degli sviluppatori è difficile abbandonare le vecchie piattaforme, poiché sebbene una mossa del genere gioverebbe al progresso tecnologico, si andrebbe comunque a tagliare fuori una quantità a dir poco incredibile di potenziali acquirenti. A questo proposito, Ubisoft ha deciso di non scontentare nessuno, affiancando così ad Assassin’s Creed Unity, in uscita esclusivamente sulle piattaforme dell’attuale generazione e PC, un capitolo per l’ormai old gen. Prima di tuffarci quindi nella Parigi rivoluzionaria, abbiamo deciso di portare a termine Assassin’s Creed: Rogue e proporvi la nostra recensione.

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QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA

Cronologicamente collegato tra il terzo e il quarto capitolo, Assassin’s Creed: Rogue ci mette nei panni dell’assassino Shay Patrick Cormac. Non ci è dato sapere molto sul passato del nostro protagonista, nè tantomeno ci viene svelato cosa lo spinge ad abbracciare il credo. L’unica cosa certa è che Shay è uno degli allievi di Achille, personaggio che tutti abbiamo conosciuto poiché mentore di Connor Kenway, e che tutta una serie di eventi – che eviteremo di esporre nel dettaglio – lo condurranno alla scelta, piuttosto radicale, di passare “dall’altra parte” e iniziare così una vera e propria caccia agli assassini per ordine dei templari. La storia del titolo non solo ci permetterà di capire quale sia stato il ruolo di Cormac nell’eterna lotta tra le due fazioni, ma ci darà modo di esplorare in maniera più dettagliata alcuni personaggi. Scopriremo quindi più dettagli su Achille, rivedremo un Adewale in età avanzata e, soprattutto, avremo a che fare con il Gran Maestro Heytham Kenway.

Come da tradizione, anche in Assassin’s Creed: Rogue è presente una sorta di storia parallela ambientata ai giorni nostri. Purtroppo ritornare negli uffici dell’Abstergo Entertainment non sarà particolarmente piacevole, vista la banalità in termini di trama, che non porta in nessun modo avanti ciò che abbiamo visto fino ad ora (si tratta infatti di un altro impiegato). La vera importanza è ricoperta solo ed esclusivamente dalla storia di Shay, che non solo risulta essere interessante da alcuni punti di vista, ma farà da vero e proprio collante con quello che andremo a vedere in Assassin’s Creed: Unity. Il buon Cormac, per quanto inferiore a personaggi come Ezio Auditore o lo stesso Edward Kenway, è comunque ben riuscito, sicuramente più di un Connor qualunque. L’unica pecca è fondamentalmente quella di aver calcato un po’ troppo la mano su certe tematiche: infatti nella maggior parte dei dialoghi verranno ripetute allo sfinimento frasi del tipo “io la fortuna me la creo” o “non siamo veramente liberi”, che finiscono col banalizzare un personaggio non poi così banale.

Per quello che riguarda il gameplay, purtroppo non c’è moltissimo da dire, poiché il gioco riprende in tutto e per tutto quanto visto in Black Flag. Il buon Shay disporrà infatti della propria nave, la Morrigan, mezzo che ci permetterà di viaggiare tra New York, Nord Atlantico e River Valley, tre macro aree all’interno delle quali potremo andare a caccia, combattere altre navi e gestire la flotta per guadagnare qualche soldo extra senza muovere un dito. Per quanto risulti ancora divertente gironzolare con la propria nave e potenziarla saccheggiando le altre navi, è molto probabile che tale meccanica vi abbia già stancato nel corso di Black Flag, il che potrebbe rappresentare un grosso problema, visto che gran parte delle missioni coinvolgono la Morrigan. Purtroppo non è stato introdotto nulla di veramente nuovo alle battaglie navali, infatti la presenza di iceberg e piccoli strati di ghiaccio (che potranno essere infranti con un determinato upgrade), sono introduzioni assolutamente marginali e non stravolgono minimamente il gameplay. Nulla da segnalare nemmeno per le fasi a terra, visto che missioni primarie, secondarie e collezionabili sono pressoché gli stessi, seppur con nome diverso. Ci troveremo quindi di fronte a missioni di pedinamento, sfide di caccia e avamposti da liberare. L’unica vera novità è rappresentata dalle sentinelle, fastidiosi nemici che si nasconderanno in svariati punti strategici, per poi sferrare un attacco, spesso mortale, alle nostre spalle. Per aggirare questo problema potremo sfruttare a nostro vantaggio un indicatore aggiuntivo che apparirà solo ed eslcusivamente quando attiveremo l’occhio dell’aquila. Grazie a questo nuovo elemento a schermo, simile a quello già visto nel multiplayer dei giochi precedenti, potremo intuire se ci sono sentinelle nei paraggi. A differenza di Edward Kenway che amava combattere impugnando una doppia spada, Shay è solito abbinare alla sua spada uno stiletto. Questa è sostanzialmente l’unico oggetto dell’equipaggiamento che lo contraddistingue dagli altri titoli, oltre al fucile spara dardi (sostanzialmente una reskin della cerbottana) e un lanciagranate non particolarmente utile se non in alcune missioni della campagna principale. A proposito del single-player, la sua durata è purtroppo minore rispetto a quella degli altri capitoli, con un numero di sequenze praticamente dimezzato e una longevità che si assesta sulle sei ore circa se non si considerano le attività secondarie. Ovviamente le attività secondarie, ammesso che abbiate voglia di completarle, vi terranno occupati per tantissimo tempo, visto l’elevatissimo numero. Purtroppo manca del tutto la componente multiplayer, che per qualche strana ragione non è stata minimamente considerata.

Anche il comparto tecnico di Assassin’s Creed: Rogue è praticamente il medesimo di Black Flag, nel bene e, soprattutto, nel male. A parte infatti la resa grafica dell’acqua che è stata ulteriormente migliorata, così come la quantità di dettagli del personaggio principale e di alcuni comprimari, il resto è praticamente indentico. Ancora una volta avremo quindi delle ombre pessime e tantissimo aliasing, senza contare le magagne del motore grafico che ci faranno incappare spesso e volentieri in bug, sia durante le fasi di parkour che in quelle di combattimento, dove spesso le posizioni dei personaggi coinvolti vengono stravolte. Inutile dire che l’intelligenza artificiale non ha assolutamente compiuto passi in avanti, con nemici piuttosto stupidi che non vi attaccheranno mai contemporaneamente. Alti e bassi invece per il doppiaggio, infatti mentre le voci dei personaggi principali risultano essere molto buone, le restanti lasciano spesso a desiderare (vedere personaggi morenti con una tonalità di voce assolutamente normale può dare abbastanza fastidio). Più che sufficiente infine la colonna sonora, per quanto risulti comunque inferiore a quella ascoltata in Black Flag, sicuramente più ispirata (sono comunque stati riciclati alcuni dei canti pirateschi).


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