Lezioni condivise 35 – Leggi fascistissime e disfatta
All’università ogni insegnamento dava luogo ad atmosfere diverse che ho ancora presenti; naturalmente esse erano determinate da tante variabili, il docente, l’aula, la materia di studio stessa, ma soprattutto il gruppo studentesco, sempre in buona parte differente.
Il ricordo di ogni lezione è anche legata al percorso e agli incontri possibili nei corridoi nello spostarsi da un’aula ad un’altra, al sapere già che avrei potuto vedere Rosa o Viola, Melissa o Jasmine.
La lezione che precedeva Storia contemporanea si prolungava sempre fino a mangiarsi il quarto d’ora accademico, stante anche il percorso dalle vecchie aule di Magistero al nuovo Corpo aggiunto, per cui arrivavo in aula a lezione già iniziata, occupavo uno dei pochi posti a sedere rimasti, scarsa socializzazione… lezioni diverse dalle altre per questo, ma anche per quelle rapide galoppate nella histoire événementielle.
Il prof sembrava di sinistra per come marcava gli aspetti più aberranti del fascismo, altri ne traevano deduzioni opposte, in realtà si trattava di un moderato. Peraltro il fascismo non può essere preso a metro di misura per valutazioni di questo genere.
Negli anni 1925 e 1926 si assistette alla completaliquidazione dello stato liberale attraverso le leggi cosiddette fascistissime. Il parlamento diventò semplicemente notaio delle decisioni di Mussolini. Venne abolita la libertà sindacale, di stampa, di espressione, molte libertà personali, istituito il confino, soppressi i partiti politici e dichiarata la decadenza dei deputati aventiniani (quelli che abbandonarono i lavori parlamentari per protestare contro l’assassinio di Matteotti).
La sinistra parlamentare fu schiacciata dagli arresti e dalla paura del regime: il duce potè permettersi di dichiararsi responsabile dell’assassinio e di chiedere per questo un atto d’accusa nei suoi confronti, senza che nulla avvenisse.
Elementi simili, seppur grotteschi, troviamo oggi nell’azione dell’attuale premier, terrore delle escort…
Nel 1927 ebbe inizio il processo di normalizzazione. Lo stato fascistizzato si impose nella vita italiana. Lo stato stesso era ormai subordinato al fascismo, ma in realtà erano la stessa cosa, difficile distinguere ciò che formalmente erano due strutture piramidali, verticizzate, parallele: stato e partito fascista.
Il potere esecutivo del duce aveva scavalcato il potere legislativo, nonostante persistesse una sorta di impalcatura liberale: re – capo governo – prefetti – podestà, in realtà tutto il potere era in mano ad uno solo, il capo del PNF: duce – segretario pnf – segretari federali – sezioni (gerarchi).
Il raccordo tra le due strutture era il Gran consiglio del fascismo, investito dei compiti istituzionali e costituzionali. Mussolini era allo stesso tempo capo del governo e duce del fascismo, un po’ come il nanerottolo oggi… che domina il governo, stampa TV, economia, giustizia, cessi e fogne…
Membri del Gran Consiglio del fascismo erano: i quadrumviri della marcia su Roma (che è tutto dire), la segreteria e il direttorio PNF, i presidenti di senato e camera fasci, i ministri in carica, i membri del direttorio del PNF, il comandante generale della milizia, le confederazioni sindacali fasciste, il presidente della reale accademia d’italia e altri a gusto del dux.
Esso aveva poteri deliberativi – sugli statuti, gli ordinamenti e le direttive politiche del P.N.F. -e consultivi – su questioni politiche, economiche e sociali di interesse nazionale, questioni di carattere costituzionale (anche riguardo la successione al trono), i rapporti fra lo stato e la chiesa e altri. Tra questi il parere sulla nomina del capo del governo e duce del fascismo. Fu avvalendosi di questo parere che il 25 luglio 1943, alle 3 del mattino, venne approvato l’ordine del giorno Grandi (con 19 voti su 28), ove "si invita il capo del governo a pregare la maestà del re… affinché egli voglia…assumere, con l’effettivo comando delle forze armate…, secondo l’articolo 5 dello statuto del regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a lui attribuiscono".
La mattina del 25 luglio il duce accettò di recarsi dal re alle 17, per il consueto colloquio settimanale, duecento carabinieri circondavano l’edificio per arrestarlo, un’ambulanza della Croce Rossa era in attesa di portarlo via.
Questi fatti non mi inducono, contrariamente ad altri, a considerare Grandi, Ciano, lo stesso re, degli eroi, giammai, sono stati corresponsabili del fascismo e lo stesso Badoglio, messo dal re al posto di Mussolini, era uno sporco fascista, altro che bestia nera del fascismo!
Il regime fetente era durato più di vent’anni e nel momento della disgrazia qualcuno voleva tirarsi fuori. Fin dal dicembre 1939 il duce aveva fiutato il dissenso nel gran consiglio, infatti non lo convocò più. Nel giugno del 1940 entrò in guerra di testa sua. Stabilì una dittatura personale, è così che caduto lui, cade il fascismo.
Alcuni storici parlano di regime totalitario imperfetto, sia nel confronto con il nazismo (ove Hitler dominava con il partito), sia per il fatto che Mussolini (sbruffone quasi quanto il Berlusca) era talmente sicuro del suo potere che non si premurò di demolire del tutto l’ex ordinamento liberale, tanto è vero che Grandi potè chiedere il ripristino delle prerogative istituzionali, che consentivano al re di estromettere il duce.
Mussolini finì per non fidarsi più del suo stesso partito e fece prevalere lo stato: ministero dell’interno, prefetti e podestà diventarono i più fedeli esecutori della sua volontà. Il prefetto prevaleva dunque sui segretari provinciali del PNF e su quelli sindacali e ne aveva il controllo. Anche nei confronti degli oppositori al regime il duce si servì, in piena dittatura, più dei rapporti dei prefetti che di quelli del partito. La repressione veniva esercitata attraverso carabinieri e polizia.
Impedimenti, ma solo formali, alla perfezione totalitaria del fascismo furono la presenza della monarchia e della chiesa cattolica, peraltro passive, tolleranti e accomodanti nei suoi confronti.
Il re promulgava le leggi, il re era capo dello stato, al re giurava fedeltà l’esercito, al re era sottomesso lo stato, ma tutto ciò per vent’anni fu solo forma al servizio della dittatura.
Anche la chiesa non utilizzò il suo potere di intervento capillare, che poteva vantare anche in periferia, con i parroci. Al duce fu necessario, ma sufficiente organizzare l’incontro tra chiesa e fascismo e risolvere la questione romana, aperta dal 1870 con la presa di Roma.
Nel 1829 i patti lateranensi, che comprendevano trattato, convenzione finanziaria e concordato, chiusero la questione e anche la chiesa ufficiale si accodò ai fasci, tollerandone ogni malefatta.
(Storia contemporanea – 17.4.1996) MP