Asteroide in dieci cocci

Creato il 06 marzo 2014 da Media Inaf

Prima erano tre. Poi cinque. E nell’ultima immagine acquisita dal telescopio spaziale Hubble di frammenti se ne contano dieci. I quattro più grandi hanno un raggio di circa 200 metri, e mettendoli tutti sulla bilancia la lancetta segnerebbe qualcosa come 200mila tonnellate, briciola più briciola meno. Questo è quanto si legge nell’ultimo bollettino – nella fattispecie, un articolo appena pubblicato su Astrophysical Journal Letters – relativo a P/2013 R3: un oggetto individuato per la prima volta il 15 settembre del 2013 dai telescopi delle survey Catalina e Pan-STARRS, a circa mezzo miliardo di km dal Sole, nella cosiddetta Fascia principale.

Come molti altri oggetti scoperti recentemente nella regione fra Marte e Giove, P/2013 R3 rientra nella categoria delle “comete della fascia principale”: corpi celesti che si muovono come asteroidi ma si comportano come comete. In che senso? Per esempio sfaldandosi, come appunto avviene in questo caso. Non solo: ognuno dei dieci frammenti di quel che fu P/2013 R3 è dotato di coda. Dieci piccole appendici polverose simili in tutto e per tutto a quelle delle comete.

Mentre nel caso delle comete, data la loro fragilità, assistere alla frammentazione è un evento abbastanza comune, uno sfaldamento progressivo come questo, avente per protagonista un asteroide della fascia principale, è uno spettacolo inedito persino per veterani come David Jewitt, primo autore dell’articolo: uno che di oggetti del genere, essendo fra coloro che nel 1992 contribuirono alla scoperta della fascia di Kuipert, ne deve aver visti innumerevoli. «Osservare questa roccia cadere a pezzi sotto ai nostri occhi è davvero sorprendente», ammette il ricercatore di UCLA.

Quanto alla causa dello sbriciolamento, anche se ancora non c’è sicurezza assoluta, andando per eliminazione non rimane che dare la colpa al Sole. La prima ipotesi che i ricercatori hanno scartato è quella dell’impatto con un altro asteroide: in tal caso la roccia si sarebbe dovuta disintegrare con molta più violenza, e i frammenti dovrebbero allontanarsi a velocità elevatissime, mentre quelli osservati vanno pigramente alla deriva l’uno rispetto all’altro a nemmeno due chilometri all’ora. Improbabile anche che stia perdendo pezzi per la pressione dei ghiacci interni: la grande distanza dal Sole, rimasta più o meno invariata dagli albori del Sistema solare, fa sì che la temperatura dell’asteroide sia infatti troppo bassa per giustificare l’ipotesi d’un processo di sublimazione in atto.

Non resta dunque che un bizzarro effetto, detto effetto YORP, dovuto alla luce del Sole, che poco a poco incrementerebbe la velocità di rotazione della roccia fino a mandarla in frantumi sotto l’azione della forza centrifuga. Un’eventualità della quale gli scienziati discutono da anni, quella della disintegrazione per effetto YORP, ma che mai prima d’ora era stata osservata con certezza.

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Disintegrating Asteroid P/2013 R3“, di David Jewitt, Jessica Agarwal, Jing Li, Harold Weaver, Max Mutchler e Stephen Larson

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina