Se un asteroide precipitasse nell'oceano, l'enorme onda di tsunami conseguente non rappresenterebbe l'unica preoccupazione: il sale ed il vapore acque proiettati in atmosfera, infatti, potrebbero danneggiare lo strato protettivo di ozono, mettendo così a rischio la civiltà umana per la forte intensità della radiazione ultravioletta che raggiungerebbe la superficie terrestre.
Elisabetta Pierazzo, della Science Planetary Institute di Tucson, in Arizona, ha guidato un gruppo di ricerca che, utilizzando un modello climatico globale, ha studiato come il vapor d'acqua e il sale marino possono influenzare i livelli di ozono negli anni successivi ad un impatto, concentrandosi in particolare su asteroidi di media dimensione, con diametro compreso tra 500 metri ed un chilometro. Al momento, sono stati scoperti più di ottocento oggetti di questo tipo, con l'orbita destinata ad avvicinarsi pericolosamente a quella terrestre in futuro.
Per avere un'idea di quale quantità d'acqua potrebbe essere coinvolta, gli studiosi hanno simulato un impatto con un asteroide che entrasse nell'emisfero nord con un angolo di 45° e ad una velocità tipica di 18 km/s. Come ci si sarebbe potuto aspettare, più sono grandi le dimensioni dell'asteroide e maggiori quantità di acqua vengono coinvolte: un oggetto di 1 km di diametro sarebbe capace di sollevare ben 42 miliardi di tonnellate d'acqua (più o meno 16 milioni di piscine olimpioniche), su una superficie di oltre 1000 km di larghezza e fino a centinaia di km di quota.
Una volta in atmosfera, i composti di cloro e bromo contenuti nel sale distruggerebbero lo strato di ozono ad una velocità molto più grande di quanto se ne riuscisse a ricreare in maniera naturale, con effetti ancora presenti dopo un anno dall'impatto. Il buco che si creerebbe sarebbe molto più grande di quello presente in passato sopra il polo sud, e lo strato di ozono, nell'emisfero settentrionale, potrebbe ridursi di più del 70%. Di conseguenza, i livelli dei raggi ultravioletti che raggiungerebbero la superficie sarebbero molto più alti di quelli attuali, mettendo in serio pericolo la civiltà umana.
Infatti, piuttosto che le scottature, da cui la gente potrebbe anche riuscire a difendersi, questa maggiore intensità di raggi UV danneggerebbe le piante ed il fitoplancton; data la loro centralità nella catena alimentare degli oceani, questo fatto potrebbe rappresentare il vero e più serio pericolo per la sopravvivenza dell'uomo.
"Una migliore comprensione di questi fenomeni potrebbe aiutarci nel prendere le necessarie contromisure", ha affermato la Pierazzo, "magari creando delle specie vegetali capaci di resistere alle radiazioni UV". fonte: Earth and Planetary Science Letters