Un viaggio nella natura selvaggia, una partita di softair tra amici. Un percorso avventuroso e romantico in una foresta bagnata dal caldo sole d’estate, che diventerà sempre più pericoloso e misterioso. Un gruppo di giovani si dirige nei boschi, armato di fucili giocattolo, senza sapere che quel posto in passato è stato una base militare segreta.
Sul gruppo incombe una grave minaccia e la curiosità dei protagonisti della storia si scontrerà con un destino inatteso, quanto terribile. Infatti, non sono soli in quel luogo abbandonato: là fuori c’è qualcuno e ciò che era iniziato come un semplice modo per giocare alla guerra, improvvisamente si trasforma in una spaventosa e reale caccia all’uomo.
Il film è stato presentato in anteprima alla 31° edizione del Fantafestival di Roma e al Courmayeur Noir in Festival. Dopo un gran numero di videoclip firmati per i maggiori artisti della scena musicale italiana, il regista romano Cosimo Alemà esordisce al cinema con questo action-thriller. I primi venti minuti lasciano ben sperare: la scelta di un cast internazionale e un soggetto lontano dalle solite storie depresse e intimistiche del cinema nostrano fanno pensare a un prodotto che potrebbe essere distribuito anche al di fuori dei confini nazionali. Purtroppo, man mano che la trama si sviluppa, siamo testimoni attoniti dell’assurdità di una pellicola che è assai arduo analizzare.
A inizio film, una scritta afferma che le vicende narrate sono tratte da fatti realmente accaduti. Bene, dopo circa un’ora e mezza di proiezione, ci si alza dalla poltrona senza aver capito proprio nulla, poiché nulla è stato spiegato. Non sappiamo quando e dove siano avvenuti questi fatti “reali”. Si ignora anche dove sia ambientato il film. Tutti i personaggi vengono presentati praticamente privi di un passato e si tace quasi completamente sulle dinamiche affettive all’interno del gruppo. Infine, il motivo che spinge i misteriosi carnefici a dare la caccia alle loro giovani “prede” resta un mistero totale.
In questo caso, è dovere del critico serio affermare che un prodotto del genere non lascia, purtroppo, spazio ad alcun commento approfondito. Sicuramente, la si può considerare come un’occasione mancata per proporre sul mercato internazionale una storia in parte diversa da quelle che il nostro cinema è ormai solito produrre.
Se proprio si vuole spendere qualche parola in più su At the End of the Day, si può dire che lo stile della fotografia e della regia riprende quasi totalmente quello di alcuni videoclip che strizzano l’occhio al cinema horror degli ultimi dieci, quindici anni, con quel gusto per una “estetica” sincopata e ripetitiva, la quale può esser gradevole per qualche minuto, ma non per tutto un film! Ecco, è proprio questo il nocciolo del problema, il signor Alemà sarà sicuramente un ottimo regista di video musicali. Ciononostante, questo non vuol dire che il passo che porta al cinema vero debba essere automatico. Se in un video clip di pochi minuti è abbastanza scontato che non si spieghi quasi nulla, ciò non vale per un film.
In conclusione, forse nel suo caso bisognerebbe interrogarsi se questo nuovo percorso sia davvero quello che fa per lui. Ci auguriamo solo che egli possa smentirci quanto prima.
Riccardo Rosati