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Attacchi di panico: sintomi di un forte disagio. la cura è in noi

Da Postpopuli @PostPopuli

di Claudia Boddi

“I pensieri senza pensatore si aggirano intorno alla persona che ignora se stessa e si trasformano in sensazione fisica, in pericoli straordinari come felini dai denti affilati che azzannano senza pietà” (Wilfred Riprecht Bion, 1897- 1979).

Secondo l’illustre psicoanalista britannico chi soffre di attacchi di panico soffre dei propri pensieri che egli stesso non conosce e che non sospetta neanche di avere. Egli riferisce la sua analisi alle esperienze di molti dei suoi pazienti che raccontano di sentirsi prigionieri di una realtà che non piace e non appartiene loro ma della quale non possono fare a meno, altrimenti si sentirebbero persi e spaesati. La paura arriva all’improvviso e sconvolge corpo e mente in maniera inaudita. Nella maggior parte dei casi, si teme di morire o di impazzire, di perdere il controllo sul proprio corpo, il cuore batte all’impazzata, il respiro diventa corto e affannoso. Non esiste una casistica precisa che individua contesti o situazioni che lo favoriscano o che lo limitino: il nemico inaspettato può presentarsi in luoghi aperti e distesi a perdita d’occhio o in circostanze circoscritte, dove si è obbligati in un ambiente definito (macchina, aereo, cinema, metropolitana). In poche parole, ovunque. Anche se i sintomi che compaiono sono per lo più di natura organica, il più delle volte, le persone che ne sono colte non presentano quadri clinici alterati. Tutt’altro.

ATTACCHI DI PANICO: SINTOMI DI UN FORTE DISAGIO. LA CURA È IN NOI

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Spesso l’inconsapevolezza genera la paura. E da essa a sua volta si scatena la paura di aver paura. Ed ecco spuntare il mostro mascherato, irriconoscibile a prima vista. Per abituarsi al chiaroscuro, è indispensabile far luce sulle proprie ombre, vederle e comprenderle, senza contrastarle, perché così facendo si alimentano e prendono forza. Prendere atto delle proprie fragilità significa diventare più forti, non più deboli. È necessario avvicinare i propri fantasmi, dar loro una forma, un luogo d’incontro. Anche perché se non lo facciamo noi, lo fanno loro autonomamente, uscendo fuori nei modi che trovano; l’attacco di panico è infatti una loro espressione.

Parlo di un processo per niente semplice da attuare: si tratta di entrare in una foresta per lo più buia, dove non ci sono sentieri tracciati, se non quelli del pensiero lineare e della realtà concreta, per recuperare e imparare a conoscere sensazioni ed emozioni che sono fondamentali per gestirle adeguatamente all’esterno e agirle costruttivamente nelle relazioni con gli altri.

In Italia il disturbo (DPA) colpisce tra il 2 e il 4% della popolazione adulta e il 70% – secondo i dati dell’Associazione Europea Disturbi di Attacchi di Panico (Eurodap) – delle vittime sono donne. Questo elemento è collegato al fatto che il 39,4% delle donne soffre di sindromi ansioso-depressive, ansia generalizzata, disturbi depressivi e sintomi da disadattamento. Sono tante le donne, anche note, cadute nella trappola del demone che strozza il fiato: di recente memoria la vicenda di Federica Pellegrini ai mondiali di Roma che si bloccò alla partenza dei 400 stile libero, ma si annoverano in questa lista anche Violante Placido che, in un albergo, venne colta da una feroce, quanto inaspettata, accelerazione del battito cardiaco e Martina Stella che nel 2006 subì i suoi effetti, mentre viaggiava su un treno.

L’attacco di panico segnala un disagio forte della persona, indica un andamento di vita non più sostenibile, che impone di fermarsi, di cambiare posizionamento e correggere il tiro. Non lo sottovalutiamo.

 

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