Del resto è impossibile resistere a quell’accattivante aroma di pane caldo che ti cattura come se dal vapore si materializzasse una mano con un dito che ti invita a seguirla fin dentro la gioielleria dell’acqua e farina.
Il pane, come anche la pasta, è una delle poche cose che può avere mille forme e mille sapori. Dall’Austria a Zanzibar, da Aosta a Sassari, ogni nazione e ogni regione ha il suo pane. Solo in Italia esistono più di duecentocinquanta tipi di pane. La pasta per il pane è una di quelle ricette senza tempo che affondano le loro origini nella notte dei tempi. Ed ogni famiglia italiana ha almeno una nonna o una zia con una ricetta per il suo pane. Il cazzotto, lo stinco, la michetta, la frusta, la ciabatta, la spiga, il pane cafone, il carasau, le ciappe, la ciriola, la frisa, la papera, la mafalda, la biovetta, il pistoccu, la schiacciata, la rosetta, la tartaruga, la treccia e ancora tanti e tanti nomi per il pane. E le boutiques di quelli che una volta si chiamavano fornai ce li hanno proprio tutti. O quasi.
Gli artisti del pane ci sanno fare, sono bravi anche a fare le vetrine, sanno persino dirottare quel deliziosi profumino di prelibatezze da forno proprio sotto il naso dei passanti ma, vista la crisi, sono sempre di più le signore che il pane se lo fanno da sole. Me compresa.
Io lo faccio con farina integralissima, con i semi di lino, di sesamo, di girasole, con le olive e con le noci e pure con le patate. Devo provare a farlo con la zucca, come si usa in alcune zone dell’Emilia. Magari mi faccio assumere da Panella, come fornaia doc.