Attacco sconsiderato contro Ludmilla Radchenko

Creato il 09 ottobre 2010 da Fasterboy

(Testo di Paolo Maria Rocco)

Sull’attacco sconsiderato portato tramite Diva e Donna contro l’Artista Ludmilla Radchenko
in occasione della Mostra alla Scala di Milano dei dipinti della pittrice siberiana

Quando si visita una importante mostra d’Arte di solito non lo si fa solo per osservare ciò che vi è allestito: posti di fronte ad un dipinto –o ad una scultura, o ad una fotografia- noi lo interroghiamo. Interroghiamo l’Arte. Per meglio dire cerchiamo –ognuno con i propri strumenti culturali e critici- di scoprire e di capire la poetica dell’Artista, la sua visione del Mondo, la sua estetica. Indaghiamo un mondo che ci si apre davanti agli occhi, quando si è disposti a vederlo, perché l’Arte, a volte, comunica con noi, comincia a parlare per esprimere un significato, un valore, ci offre risposte e, last but not least, ci educa al Bello.
Così, quando mi sono recato a visitare la Mostra d’Arte di Ludmilla Radchenko, il 1° Ottobre scorso, allestita nella “Sala dedicata Foyer” del Teatro alla Scala di Milano, ho usato il medesimo atteggiamento e ho atteso che i suoi dipinti mi parlassero attraverso la simbologia adottata dall’Artista, attraverso la sua tecnica e il suo stile. La risposta è stata quasi immediata: e non solo perché, per lavoro, avevo già avuto modo di ammirare altre opere di Radchenko esposte, ancora adesso, a Palazzo Torlonia, a Roma; ciò che quei dipinti comunicano mi hanno portato a riconoscere il senso importante –e ho appreso poi di essere in questo caso in numerosa e autorevole compagnia- della sua Arte, un’Arte che costruisce, che progetta valori, e lo spessore culturale e artistico dell’Autrice. Ho poi avuto la sensazione, girando tra i pannelli espositivi, che quei prestigiosi spazi della Scala respirassero, quella mattina, aria fresca a pieni polmoni, e non solo per l’allegro vocìo dei visitatori, amanti dell’Arte, galleristi, collezionisti, critici d’Arte… c’era vita lì dentro, quella dei dipinti esposti e quella di una umanità raccolta nel comune desiderio di manifestare, anche, la gioia di partecipare alla preziosa esperienza del dialogo con l’Arte. Perché, poi, diciamolo, non è da tutti esser capaci di instaurare, come fanno i dipinti di Radchemko, questo tipo di rapporto (e la maggior parte delle volte l’assenza di questo dialogo non deriva certo dalla mancanza di strumenti critici, o di sensibilità, da parte del visitatore, ma, piuttosto, dal fatto che ciò che è esposto non comunica poi molto): “Alle 9 di sera, quando si apre il sipario, o sei bravo o non sei bravo. E il pubblico, che non è stupido, lo capisce subito. Il pubblico non ti dà una seconda possibilità”, sono parole che Pietro Ballo, grande e notissimo tenore, tra i maggiori della storia della lirica italiana e mondiale contemporanea, mi concesse in una intervista esclusiva, qualche anno fa, mentre mi parlava di cosa significasse, per un tenore acclamato in tutti i Teatri dell’Opera del mondo (anche alla Scala), curare la voce, non tradire le aspettative del pubblico. Mi sembra si attaglino bene a quanto sto descrivendo: il pubblico presente, numeroso e attento, alla Mostra di Ludmilla Radchenko alla Scala, lo ha capito subito che i lavori dell’Artista (potenti come un acuto) hanno tutte le carte in regola per suscitare l’interesse e gli apprezzamenti che la pittrice ha già raccolto, sappiamo, in precedenti eventi espositivi: tra i più recenti quello tenuto al L.U.C.C.A. (di Lucca), e al citato Palazzo Torlonia. Il pubblico ha capito che Radchenko, vero talento della pittura –ma oggi più che talento- onora l’Arte perché la sua Arte parla a tutti con il suo linguaggio fatto di cose belle, di cose vere filtrate da una straordinaria sensibilità artistica. Proprio in virtù di queste considerazioni, quando mi è stato sottoposto un articolo sulla Mostra dell’Artista pubblicato su “Diva e Donna” 6-12 Ottobre 2010, più che il titolo (“Una letterina alla Scala”, giornalisticamente forse ‘ad effetto’, ma di cattivo gusto come molti titoli ‘ad effetto’) mi ha colpito l’occhiello: “Come ha fatto Ludmilla Radchenko a esporre i suoi quadri nel tempio della lirica mondiale? Mistero”. Ho pensato: ma come, siamo ancora a questo? Sì, ho capito, i lettori di questo tipo di periodico vogliono un certo ‘taglio’, basso, delle notizie, ma… alzare il livello del gusto, questo proprio non possiamo aspettarcelo da Diva e Donna, tra un abito griffato e l’altro, tra le confessioni di un’attrice e le prime pagine sulle (brave, certo) potenti ‘corazzate’ della Tv dello Spettacolo? Poi scorrendo l’articolo si legge che è il signor Carlo Belgir, “esperto di tessuti e appassionato frequentatore della Scala”, ad aver posto la domanda scabrosa in posa da tiratore scelto, da cecchino di plotone d’esecuzione. Domanda legittima, chiaro, ma, in tutti i casi, l’arma pare spuntata e il tiratore quanto meno miope. Uno si aspetta, chessò, di leggere considerazioni –anche leggere leggere- sulle opere esposte (oppure, magari, da un esperto di tessuti qual è il signor Belgir, una riflessione su qual era la mise più charmant indossata dalle visitatrici durante l’evento della Radchenko), e invece no! Sembra di riascoltare Philippe Daverio quando, tre anni fa, pare un secolo, parlava, a proposito di una mostra d’arte censurata proprio a Milano, di una “Milano sonnolenta, tutta presa da smanie e paure (…) una città di ansiosi e spaventati…”. Possibile che una persona sensibile come il signor Belgir, habitué della Scala, non abbia altro da dire di una Mostra d’Arte se non instillare un, senza offesa per carità!, miserevole sospetto? Che, poi, ce ne fa venire in mente uno anche a noi: ma la Mostra dei dipinti di Ludmilla Radchenko, è sicuro che il signor Belgir l’abbia vista? Perché, in verità, pare proprio di no. Sembra, invece, che le parole di Belgir materializzino una mentalità provinciale d’antan che scopriamo ancora dura a morire, anche a Milano, e nonostante proprio l’amministrazione comunale meneghina (c’era l’Assessore alla Cultura all’apertura dell’Evento), abbia benedetto, insieme, supponiamo, con la Fondazione del Teatro alla Scala, la Mostra d’Arte curata da Gigart-Art Finance in cui sono state esposte opere di Ludmilla Radchenko e di altri quattro Artisti. Certo, uno mica deve essere d’accordo per forza con tutto quello che fa l’amministrazione guidata dal Sindaco Letizia Moratti, ma sparare ‘ad alzo zero’, così, prendendo di mira la dignità di una persona magari per colpire qualcun altro…  è proprio brutto, direi volgare! Poi, uno può immaginare anche che emissari di parte politica opposta a quella che governa il capoluogo lombardo si scatenino ad ogni occasione pur di denigrare o di ‘colpire’ i propri avversari, oppure che l’autore di quelle parole sia stato vittima di un colpo di sole (faceva caldo quel giorno a Milano), oppure che anche Diva e Donna usa gettare schizzi di fango a destra e a manca così per adeguarsi alla moda del giorno, naturalmente. Tutto ciò può, forse, interessare qualcuno, i lettori di Diva e Donna certamente, ma è un obbrobrio e una vera barbarie che il pregiudizio venga appunto usato come un’arma per colpire una giovane e valente Artista: a che scopo una mentalità provinciale e da retrobottega (o da retroguardia, a scelta) instilla dubbi se non perché –e qui mi vengono in mente parole del filosofo Stefano Zecchi- ha terrore della libertà dell’Arte? Se non perchè avendone terrore tenta di deprimere la creatività e arriva a considerare gli Artisti dei nemici? Comunque, assodato che quella del signor Belgir è una posizione sì legittima ma offensiva e assolutamente retrograda, da rifiutare, sono convinto che, al contrario, si dovrebbe essere grati a quanti –al Teatro alla Scala, prima di tutto, e all’amministrazione comunale e a Gigart- hanno consentito che si potesse realizzare, a Milano e per Milano, e, guarda un po’, proprio “nel tempio della lirica mondiale”, un evento di sensibile rilevanza nel panorama dell’Arte nazionale e internazionale. Sono sicuro, quindi, di non essere solo nell’augurare che si dovrebbe sollecitare con forza la riapertura, in un vicino futuro, ancora di quegli spazi prestigiosi della Scala per altre importanti Mostre d’Arte perché l’Arte ne ha bisogno; sono convinto di non essere solo nel sostenere la necessità di continuare a rifiutare i falsi moralismi di quanti, agghiacciati dal sospetto di una –presunta- contaminazione della Sacralità del Tempio, vorrebbero impedire la fruizione dell’Arte e quindi anche l’espressione della sua funzione di educare alla Bellezza. Viene da dire che un “pensiero” come quello espresso da Belgir abbia l’unico scopo di favorire invece l’immobilismo, ambiente naturale di formazione e di crescita –come insegna la storia anche recente, e forse il signor Belgir lo sa- dei più loschi intrecci, una delle cause, anche, dello statu quo di quella (antica, speriamo) “Milano sonnolenta e ansiosa” ricordata da Daverio e che si vorrebbe dimenticare, come anche, siamo certi, il signor Belgir.
“Me l’ha insegnato Donizetti –dice ancora Pietro Ballo- a usare il fioretto e non la spada. Quanti invece pensano di farsi strada con le ‘armi pesanti’, a sciabolate… poi si accorgono che ingaggiare una prova di forza con le proprie possibilità vocali alla lunga è deleterio… sei costretto, quando la voce cede, a cercare salvagenti per non affondare”: fuor di metafora, chissà se il signor Belgir, che è andato oltre ed ha steccato, ha stonato ‘di brutto’, si è munito –o è stato munito- di un salvagente! Mistero!
Paolo Maria Rocco
Critico d’arte, giornalista professionista

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