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Attentati a Parigi: il terrore ferma tutto, tranne la “partita”

Creato il 15 novembre 2015 da Stivalepensante @StivalePensante

(Un articolo di Andrea Pasquale Farace) – C’è Francia-Germania allo Stade de France. Le tribune sono gremite, durante un’azione a centro campo il boato. Il giocatore si ferma per un istante, perde il pallone. Subito dopo l’azione riparte, il pallone non cessa mai di rotolare sul terreno. Fuori e dentro lo stadio comincia a propagarsi il terrore.

Gli spettatori di Francia - Germania invadono il campo dello

Gli spettatori di Francia – Germania invadono il campo dello “Stade de France” (AP Photo/Michel Euler)

Questo è quello che succede ogni volta che veniamo colpiti. Ci terrorizziamo. Il terrore ci fa tendere i nervi, aguzzare i sensi, aumentare i battiti e, dato che non abbiamo un capo da seguire, ci fa paura. Poi arrivano i pompieri, i poliziotti e le ambulanze e, se non siamo morti, ci sentiamo già meglio, in proporzione a quanta attenzione riceviamo dai nostri soccorritori. Dentro lo stadio puoi avere paura per un istante, perché quel rumore fa paura, a seconda del paese da cui vieni, ma sei uno dei 22 gladiatori in campo, non saranno in molti a fermarsi. La lotta per la vittoria occupa la testa e molte volte le orecchie; un po’ come quella per la sopravvivenza.

Così corri su internet a vedere cosa è successo. Scopri che a Parigi hanno ammazzato altra gente. Chi? Come? Perché?

Sono stati i cattivi, facile. Se si usa la violenza, andando in giro armato ad uccidere gente che passa un tranquillo venerdì sera parigino, sei il nemico. Di che paese siano, che ideali rappresentino, non deve interessare. C’è un modo buono e un modo cattivo. Se il modo buono è la pace, tutto quello che non è pace, è male. Magari, però, non tutti sono crudeli. Sicuramente sono diversi da noi. A noi manca la capacità di ammettere il diverso, perché noi siamo uniformati. Vengono qui e spezzano la nostra perfezione. Spezzano la nostra voglia di fare benzina, di scartare tortine di plastica contenute in sacchettini di fibre biodegradabili, di bere acqua e zucchero.

Come ci sono arrivati è ancora più facile a dirsi: la disperazione. Dal modo in cui si inginocchia l’Europa ogni 100 morti, bisognerebbe desumere che nel mondo ci sono vari popoli che dalle ginocchia sono passati al decubito prono, magari da tempo, e si sa strisciando si passa sotto le porte. La disperazione è la forza che, nel profondo, agita i cattivi. Quando non è più una reazione cosciente, quella dell’uomo che soffre, diventa uno scomposto dimenarsi, una lancia dell’acqua aperta a piena pressione. Alla fine se provassero la pressione a tutti quanti, quelli col fucile sono quelli che ce l’hanno più alta.

Non prendiamocela con altri paesi, non prendiamocela con altre religioni, non prendiamocela con altri uomini. Molto probabilmente, molte delle persone con cui ce la possiamo prendere, stanno soffrendo come e più di noi.

Dovremmo riflettere sulle cause, ormai note, di tutto questo. Gli invasori sono gli occidentali, da centinaia d’anni, gli stranieri stanno solo venendo a renderci il conto.

Il giocatore di calcio, quando ha sentito il botto, ha perso il pallone; il suo compagno di squadra ha rizzato le orecchie e poi le ha riabbassate subito, ha stoppato il pallone che ancora rotolava e l’azione è ripartita. Per uno di noi che si ferma, ce ne sono sempre 21 che vanno avanti e, avendo appena perso un fratello, saranno 21 amareggiati. Quando l’ultimo resta solo, senza più fratelli, né amici, né famiglia, è disperato. Quando è disperato si agita come la lancia dell’acqua.. se solo gli avessero dato in mano un pennello…

Non siamo ancora un mondo di artisti. Probabilmente non lo saremo mai. Lo spazio che occupa il pensiero di un’artista, così sconfinato, dovrà pur mancare nelle idee di qualcun altro. Sta di fatto che gli artisti attraggono, con le loro mostre, con i loro atti, con le loro provocazioni. Le persone, gli artisti, li vanno ad osservare, li seguono, li imitano. 22 tra gli artisti più seguiti d’Europa, i titolari di due nazionali di calcio, si sfidano. Quante decine di migliaia di persone erano sedute attorno a loro a guardarli, a giudicarli, pronti ad esaltarsi per un bel gesto, sicuri della loro giustizia nell’urlare al primo errore.

Fuori dallo Stade de France, in vari punti di Parigi, c’erano dei combattenti che seminavano terrore. Poco dopo, la dimensione delle loro gesta, li mette al centro di un’arena in cui non sono più esseri umani ma ideali con le gambe. Solo che loro sono morti, per la maggior parte; che ideale rappresentassero nessun cronista ha avuto il tempo di chiederglielo. Urlavano in Arabo? Perché tu li hai sentiti? Perché tu sai riconoscere l’arabo dal persiano o da uno dei tanti dialetti indiani?

Quando guardi i tuoi 11 giocatori in campo, vedi solo la tua nazione e quello che rappresenta per te, scontrarsi contro gli undici giocatori della nazione rivale. Comunque vada, fallo in più, scorrettezza in meno, i tuoi saranno sempre stati degni e giusti. La vittoria, fino al novantesimo, è quello che aspettano tutti quanti.

Quando guardi il video di quello che è rimasto dopo un attentato non si può non riflettere. Lo si fa nello stesso modo con il quale critichi una partita di calcio della nazionale, senza nemmeno averla vista. Di sicuro, gli avversari sai chi sono.

Adesso siamo entrati in una nuova fase di questa guerra della psicologia di massa, quella in cui le centinaia di milioni di persone iscritte a Facebook in Europa, questa mattina si sono svegliate trovando tra le notifiche, una simpatica applicazione con la quale potevi verificare quali tuoi amici, tra quelli a Parigi, stiano bene. In giornata, compare una seconda simpatica applicazione: “trasforma la tua foto di profilo” in una bandiera della Francia…

La vera guerra non è nelle strade. Centinaia di persone lottano e si ammazzano ai quattro angoli del globo tutti i giorni a tutte le ore, basta farsi un giro in Libia. Se faranno le dirette live delle guerriglie, se ci saranno a breve inviati di guerra “dai quartieri”, se anche io fossi costretto a prendere in mano un’arma… ma realmente… quando mai siamo scesi in campo per tirare il rigore ed essere determinanti?

Vogliono solo farti piangere come quando hai perso i mondiali. Tuttalpiù vogliono vedere se mentre piangi ti fai un selfie. Se solo come prima difesa, prenderai in mano lo smartphone, avranno vinto. Se nei feed troverai il risultato della partita o il numero dei morti, non gli importa molto. Sono solo numeri.


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