Attentati di Parigi. Quando tutti sottovalutavamo il pericolo.

Creato il 16 novembre 2015 da Leultime20 @patrizialadaga

Oggi avrei dovuto mettere online la recensione di un libro. Invece mi trovo a pubblicare queste righe nate dopo i tragici attentati di Parigi, compiuti da terroristi dell’Isis lo scorso venerdì 13 novembre. Una data listata a lutto che si aggiunge alle tante altre, troppe, in cui negli ultimi anni il mondo occidentale è stato messo in ginocchio dal fanatismo religioso.

Nel fine settimana i post e gli articoli sul tema si sono moltiplicati, dalle pagine dei principali quotidiani alle reti sociali tutti hanno avuto qualcosa da dire, a volte anche a sproposito. Come spesso accade in Italia, ogni cosa messa nero su bianco può essere manipolata o diventare oggetto di sciacallaggio politico e i commenti sugli attentati di Parigi non hanno fatto eccezione.

Ho riflettuto a lungo prima di scrivere questo post. Il dolore per l’accaduto per molte ore mi ha obbligato al silenzio, poi ho capito che cos’era questa voce che bussava prepotente dentro di me: la voglia di gridare basta, di farla finita con il timore di essere giudicati perché si manifesta il proprio disprezzo nei confronti di chi usa la religione come scusa per soddisfare le proprie mania di grandezza.

Oggi ho voglia di raccontare una storia, che solo pochi amici conoscono.

Molti anni fa, subito dopo l’abbattimento delle torri gemelle, mi misi a scrivere un romanzo. All’epoca ero tra le poche persone che davano peso alle catastrofiche profezie di Oriana Fallaci. La stimavo. Il libro, terminato nel 2003 (e rivisto nel 2008), raccontava una storia che i pochi editor a cui lo consegnai, definirono “cupa”, “estrema”e persino “rischiosa” da pubblicare.

Quando lo scorso gennaio uscì in Francia il romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione  (Bompiani) proprio in concomitanza con il sanguinoso attentato a Charlie Hebdo, pensai che lo scrittore francese, sebbene più moderato di me nell’immaginare l’avvento al potere delle frange più fanatiche dell’islamismo, avesse colto nel segno.

Non occorre essere esperti di politica internazionale per comprendere la strategia di queste genti. I loro obiettivi sono sempre stati sotto gli occhi di tutti ma è stato più comodo e semplice fingere di non vederli o non dare loro alcun peso.

Basta l’occhio di una madre preoccupata per il futuro dei suoi figli per rendersi conto di quanto il pericolo sia stato sottovalutato dal mondo occidentale. Per molto tempo i governi hanno giocato a tira e molla, indecisi tra severità e tolleranza.

Così, sono proliferate moschee e scuole coraniche piene di brava gente, certo, ma anche di pazzi fanatici che lavano il cervello ai bambini promettendo loro una vita migliore nell’aldilà, se saranno capaci di farsi saltare per aria, eliminando il maggior numero di infedeli, proprio come è accaduto a Parigi.

Nel 2001, quando buttai giù le prime righe del romanzo, immaginai il nostro pianeta nel 2058, devastato da una serie di attentati atomici e regredito a uno stato semi-primitivo in cui un fantomatico Sacro Impero talebano aveva il potere assoluto sulle genti occidentali superstiti. In questo drammatico contesto un’anziana giornalista scriveva di nascosto le sue memorie di gioventù per lasciare ai posteri il ricordo di un mondo ormai scomparso. le prime righe recitavano così:

Tel Zaytun ex-Moneglia – Liguria (Italia),

9 gennaio 2058

Scrivo nella speranza di non essere scoperta.

A noi donne leggere e scrivere è proibito da molti anni. Le anziane come me sono le più sorvegliate, i guardiani sanno che abbiamo studiato, che ai nostri tempi usavamo il computer, insegnavamo nelle scuole e dirigevamo aziende. Io ero giornalista.

Sanno tutto su quelle come me. Siamo schedate. Hanno bruciato i nostri libri, strappato le nostre agende, distrutto i nostri computer, i telefoni, persino le radio e i televisori. Temono che di nascosto possiamo trasmettere alle nostre figlie e alle nostre nipoti gli strumenti della conoscenza, la memoria del passato, il nostro sapere.

Hanno ragione. Da oltre trent’anni istruisco le piccole schiave che incontro sul mio cammino. Piango per loro, perché so che uscire dall’ignoranza le farà soffrire, le condurrà su una strada di dolore e ribellione dalla quale non c’è ritorno. Mi auguro che il loro martirio un giorno resusciti la civiltà in cui sono nata, o forse, una migliore.

Parlo di questo libro al passato (è intitolato Se tu non ci sei, per la cronaca) perché da un po’ è chiuso in un cassetto e lì, probabilmente, resterà a lungo. Non ha trovato editore in passato e forse è stato meglio così. Tuttavia, dopo il massacro di venerdì, che mi ha fatto temere per la vita di alcuni amici che risiedono a Parigi, ho sentito il bisogno di scriverne per dire a chi governa che è ora di agire, di unire le forze, di smetterla con le politiche nazionaliste, che guardano soltanto all’ombelico di ogni regione, perché esistono problemi ben più urgenti e rilevanti che minacciano la nostra civiltà tutta intera. Il controllo deve essere rigoroso e la repressione spietata perché oggi sbagliare può voler dire morire. E di morti ce ne sono già stati troppi.

Dai massacri di cristiani nei paesi a maggioranza islamica alla costante penetrazione di terroristi nelle nazioni occidentali, quel che prevedevo nel libro, purtroppo, si è già realizzato. Ma il nemico è subdolo e lavora ai fianchi della nostra civiltà. Il peggio potrebbe ancora venire, è inutile fingere di non saperlo. Tutti siamo in pericolo, qualunque sia la nostra bandiera.

A suo tempo scrissi:

Eravamo ricchi, presuntuosi e senza dio. Perdemmo.

Erano poveri, devoti e senza nulla da perdere. Vinsero.

Facciamo in modo che almeno queste parole non diventino mai realtà. Siamo ancora in tempo.
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