Pazzesco perché nessuno nega che la classe dirigente, a partire dal nuovo governo, debba mettersi al lavoro seriamente anche partecipando ai sacrifici richiesti ai cittadini. Su questo non ci piove. Però il collegamento tra il bisogno, anzi l’urgenza di un cambiamento e il ricorso alle armi francamente non si coglie. Sfugge. E’ inesistente se non nella logica di chi ritiene la responsabilità altrui quale legittimazione della violenza: non fai il tuo dovere o non lo fai bene, allora ci penso io. Folle.
Ed altrettanto folle sarebbe tacere o minimizzare il nesso tra i proclami di chi l’altro ieri auspicava che il Parlamento fosse bombardato – ed oggi fa vigliaccamente finta di nulla – e quanto successo ieri fuori Palazzo Chigi; un nesso talmente palese da essere ovvio. Per questo è bene che ci si sia, tutti insieme, una bella calmata. La critica, l’osservazione e il rilievo vanno benissimo, ma senza urlare. Perché alzare la voce non serve a nulla, se non a portare ad alzare le mani. Oppure le armi.
E dato che un precedente lo abbiamo, adesso tutti buoni. E basta, per cortesia, con la storiella della disperazione: di gente disperata oggi purtroppo l’Italia è piena. Uomini e donne magari non più giovani che si ritrovano senza un lavoro e, spesso senza chiedere niente a nessuno, lottano. Ci provano. Tengono duro e non si danno per vinti. Sono i veri eroi silenziosi dei nostri giorni ed è il loro coraggio che deve stimolare i nostri politici, non le pallottole. Con quelle, in ogni caso, si finisce male.