Ragazza di etnia Hehe.
Lasciamo Iringa all'alba con il suo clima di montagna africana. Oggi ci aspetta una lunga strada per arrivare attraverso Morogoro fino al parco fluviale di Selous. Forse è la più bella strada della Tanzania, la nazionale A7 che collega Dar allo Zanbia, al Congo e al Malawi fino al lago Niassa. Lasciando i 1600 metri di Iringa, ci si avventura lungo il Ruaha river, in una serie di meandri stretti tra dirupi di montagne aspre, ma coperte di foresta rigogliosa e apparentemente impenetrabile. Il traffico e notevole, infinite teorie di camion che arrancano a fatica sulle salite ripide e tortuose, lasciando dietro di sé scie di fumo nero e pezzi di copertoni sfilacciati. Dietro ogni curva può apparire improvvisa la sagoma di un autobus o un mezzo pesante in avaria che blocca tutta la carreggiata, malamente segnalato da qualche ramo di albero che attraversa l'asfalto, un costante pericolo di incidenti, aumentato dalla guida piuttosto allegra dei vari conducenti. Anche Ernest guida piuttosto teso e mantiene una velocità di crociera piuttosto prudente, timoroso di incidenti in agguato. Rimane così tutto il tempo per gustarsi il paesaggio, davvero avvincente. Ma dopo l'ennesima curva, ecco anche noi in panne con una gomma a terra ed allora è tutto un correre indietro a buttare rami e frasche in mezzo alla strada per avvisare chi arriva; per questo nei mercati di Dar c'era una grande offerta di triangoli per auto, evidentemente un oggetto di consumo ancora nuovo e di grande avvenire.
Risolto il problema senza perdite, riprendiamo la strada che costeggia tutte le montagne Udzungwa, ricoperte di boscaglia fitta che nasconde animali e
piante rare; sembra che di notte sia frequante vedere qualche leopardo che tenta di attraversare la strada. I paracarri sono spesso occupati da babbuini che controllano il territorio con aria attenta e si girano al nostro passaggio con aria sospettosa, mentre sbocconcellano bacche e altri frutti selvatici. Quando si arriva al piano, uscendo dalle gole scoscese, si può procedere con maggiore tranquillità, anche se di tanto in tanto ci sono pattuglie di polizia in agguato con dei rudimentali autovelox, pronti ad accalappiare i malcapitati di turno. Per la verità tutti ne segnalano la presenza con gran lampeggiamento di fari, la solidarietà degli automobilisti tartassati è uguale in tutto il mondo. Poi la strada diventa rettilinea e per decine di chilometri, taglia perfettamente in due il parco Mikumi. Un vero scempio ecologico, questa violenza ad un'area protetta che dovrebbe rappresentare uno dei migliori sistemi per creare reddito e lavoro in aree non industrializzate, però anche qui sembra che a certi problemi si pensi solo dopo avere rotto le uova. Pare che si stia cercando di fare una cosa analoga, tagliando in due il parco di Serengeti per poter collegare meglio il Kenya con il nord del paese, ma per il momento questa tragica eventualità è stata bloccata da una sollevazione delle popolazioni locali che traggono dal parco e dal turismo collegato, la loro primaria fonte di reddito.
Ernest ce lo racconta con aria affranta e arrabbiata al tempo stesso. I mezzi sfrecciano lungo la strada e ogni tanto si vedono sull'asfalto tracce di animali che hanno tentato l'attraversamento, falciati durante la notte. E' davvero incredibile transitare su questo rettilineo infinito, mentre nel
bush rado attorno a te, pascolano liberi branchi di gazzelle, antilopi, zebre, gnu. Poco più in là, un'area più umida che ancora mostra la presenza di residui di pozze fangose, dove tutto intorno si ammassano numerosi elefanti, interi gruppi di bufali, gruppetti di giraffe sparse. Davvero uno spettacolo inconsueto. Un gruppetto di case interrompe la strada, un villaggio, un piccolo mercato, banchi di pomodori e patate, un punto di ristoro. Mentre Ernest se ne va a riparare la gomma forata, restiamo al bar a mitigare la sete con una
birra Kilimanjaro. Al tavolo vicino una coppia araba sbocconcella un sandwich con le uova. Lei enorme, fasciata in un
khanga colorato, lascia emergere da un velo preziosamente bordato di oro, una pelle lattea su cui spiccano occhi pesantemente bistrati di
kajal viola e lunghe ciglia che sbatte continuamente; le mani gonfie che sminuzzano piccoli bocconi alla volta sono ricoperte di fitte volute di
henné, un disegno complesso e barocco che mette in sottordine le lunghissime unghie colorate. Lui, con una
galabeja bianca e lo sguardo annoiato, annuisce distrattamente al chiacchiericcio basso ma costante, un vero rumore di fondo, sorbendo lentamente un tazzone di thé. Poi, come improvvisamente esaurito dalla continua lamentela, si alza di colpo, seguito a qualche passo di distanza dall'ingombrante fagotto ballonzolante, con i tacchi che affondano nella ghiaia del cortile e la coppia sale un un pesante SUV nero che presidiava l'ingresso e se ne va rombando verso Dar.
Un gruppo di pastori masai sul bordo della strada li segue con gli occhi, commentando. Subito dopo Morogoro, lasciamo la nazionale. La strada diventa un tortuoso sterrato che si inerpica sulle colline. Mancano ancora un centinaio di chilometri duri, per arrivare all'ingresso del parco. Appena finita la periferia della cittadina, entri subito nella foresta che le abbondanti piogge della costa rendono alta, fitta, rigogliosissima. Ogni specie di albero, in continua competizione, chiude tutti i sentieri di accesso e quasi hai l'impressione che il verde voglia invadere la strada. Grandi mogani assediati da basse acacie, gruppi di banani mescolati a cespi di
jacarande blu, ficus e felci gigantesche, stelle di
natale che quasi non riconosci a 4 metri di altezza ed una infinita serie di altre piante sconosciute che si affollano sulle ripe che fiancheggiano la pista. Eppure il bosco è popolatissimo. Dovunque tra le frasche, indovini capanne, piccoli gruppi di casupole di fango e non appena si crea uno spazio tra le piante, ecco un orto, un campicello, un recinto per armenti. Sul bordo della pista continuamente, gruppi di bambini, di donne in cerca di acqua, o uomini con una zappa sulla spalla in cammino. Ancora vesti colorate e sorrisi larghi al passaggio, ad ogni curva istantanee di vita, offerte di ortaggi, cespi di banane in vendita al passante. Su un piccolo rilievo nudo, una figura isolata, ritta ed immobile, quasi una statua di ebano avvolta in una orifiamma rossa, appoggiata al lungo bastone, lo sguardo perduto lontano, non sai se per controllare la greggia o per seguire pensieri perduti. Passandogli più da vicino non puoi far a meno di guardare gli orecchini barocchi che gli deformano i lobi delle orecchie, le bande di perline attorno al cranio nudo e ricadono eleganti sulla fronte, la pesante mazza di mogano che gli pende al fianco, le magnifiche collane colorate che gli circondano il collo, da cui pende, immancabile, la lunga fettuccia del telefonino.
D'altra parte di tanto in tanto, sulle colline più lontane, perdute nel nulla, vedi ergersi una lunga antenna metallica, in modo che ogni bravo Masai che si rispetti non possa lamentarsi che non c'è campo. Dopo qualche curva più tortuosa, la pista arriva ad un crinale ricoperto di capanne, un piccolo villaggio dove pare riunita una gran folla. Ci fermiamo al bordo ed ecco che la gente avanza verso di noi. Pare una processione; davanti, gente che grida, o piange, forse prega. Subito dopo, molti uomini giovani che accosciati fanno scorrere un lungo cofano di legno chiaro seguito da una croce con un nome scritto sul braccio orizzontale. Dietro un gran numero di donne che recitano giaculatorie cantilenanti. Qualcuno piange. E' un funerale, che ha richiamato evidentemente una gran folla anche dalle colline vicine. La gente sembra in preda ad un furore dionisiaco. Grida, lacrime, canti, sguardi severi verso gli inconsapevoli intrusi. Rimaniamo immobili al lato della strada, mentre passa il feretro. Poi quando tutto è finito, riprendiamo la via, sollevando polvere fastidiosa. Solo a sera, mentre il cielo è ormai completamente viola, arriviamo al Sable Mountain Lodge, un paradiso nascosto nel bosco sulla cima di una collina. Sulla terrazza del tuo bungalow isolato e solo tra gli alberi, puoi allora rimanere, bevendo lentamente un thé, ad aspettare il buio che scende sulla foresta, ascoltandone in silenzio i rumori e gli stridii, nell'illusione di capire il segreto della magia dell'Africa.
Un turista al Sable Mountain lodge.
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