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Attualità e inattualità del pensiero di Marx: la scienza dialettica alle prese con il XXI secolo/2

Creato il 03 ottobre 2013 da Criticaimpura @CriticaImpura
Tempi Moderni e alienazione

Tempi Moderni e alienazione

Di CLAUDIO VALERIO VETTRAINO

Abbiamo dunque descritto un Marx scienziato ma di una scienza particolare: la scienza dialettica. Semplificando, possiamo asserire che in Marx operano contemporaneamente due forze. Una metodologica, facente capo all’epistemologia galileiana, esemplificata dal circolo concreto-astratto-concreto di della Volpe;  l’altra invece riferita all’essenza rivoluzionaria e destrutturante della dialettica hegeliana.

La sua forza, testimoniata dallo stesso Marx nel poscritto alla seconda edizione de Il Capitale, risiede proprio nel concepire ogni positività come negazione di se stessa, come antitesi della sua tesi, costruzione della propria decostruzione, annullarsi del proprio esistere [1]. La superiorità della dialettica risiede nella sua intima natura di creatività diveniente, metamorfosi trasformativa incessante [2]. Negatività costruente in fieri. Ed è questa stessa dialettica che fa vedere la merce in Marx come unità dialettica inscindibile di valore d’uso e valore di scambio; del valore d’uso come valore di scambio. Il lavoro astratto come lavoro concreto; il plusvalore e lo sfruttamento salariato dovuto all’intensificazione della produttività del lavoro e del dominio incontrollato su di esso del capitale mondiale, le contraddizioni insanabili del modo di produzione capitalistico così come le sue crisi cicliche sempre più virulente ed allargate a scala mondiale, la socializzazione globale delle medesime condizioni di alienazione come elementi insuperabili entro cui formulare, delineare ed organizzare il passaggio storico al comunismo [3].

Ciò detto, risulta evidente come siano le dinamiche oggettive dello sviluppo capitalistico che pongono le condizioni economiche, politiche e sociali del comunismo. Ma per Marx ed Engels ciò non basta. Non è sufficiente credere nel messianesimo rivoluzionario, rischiando con ciò di cadere nell’economicismo. Occorre una soggettività organizzata e radicata nel territorio che sappia dare concretezza strategica, “gambe e teste” a immanente necessità. Qui nasce il nucleo originario del leninismo, del partito bolscevico e dell’utopia politica del Novecento.

Riassumendo: totalità, scienza e dialettica sono i tre cardini del pensiero marxiano e della proposta politico-epistemologica, dell’analisi critica della società capitalistica, attraverso definire l’utopia progressiva di un “già non ancora” tutto da costruire. L’attualità di Marx risiede nelle oggettive contraddizioni di un sistema – quello borghese – non più in grado di dare risposte, idee, valori, ad un umanità sempre più attonita e spaventata.

L’ineguale sviluppo del mercato mondiale, già analizzato dal Lenin più di cento anni fa, che determina l’ascesa e il declino delle grandi potenze e delle loro aree di influenza[4], l’affanno delle tradizionali roccaforti del capitalismo occidentale a tutto vantaggio del BRIC, sono tutti fattori che preconizzano una nuova spartizione e forse una nuova guerra mondiale, rimarcando con forza l’analisi marxista delle relaz, così come la necessità di dare nuovo slancio a quello che un tempo veniva chiamato “internazionalismo proletario”, all’unione mondiale dei salariati come alternativa concreta.

E’ una sfida inimmaginabile per mole ed impegno. Folle, secondo chi, ritiene oggi impossibile soggettivamente e oggettivamente, riattivare una prospettiva teorico-politica di questo genere. Così come fu giudicato impensabile mutatis mutandis ai tempi della Prima Internazionale inaugurata da Marx nel 1864 o la Terza ai tempi di Lenin [5]. Momenti in cui, va ricordato, le forze del lavoro non erano così numerose e capillari (le odierne stime parlano di un miliardo e mezzo di salariati nel mondo), né istruita, concentrata di megalopoli, né in grado di comunicare telematicamente in ogni parte del globo, né tantomeno viaggiare, scambiare idee, impressioni, esperienze come oggi.

Per concludere, possiamo affermare che non vi sia inattualità nel pensiero e nelle opere che Marx ci ha lasciato. L’inattualità del pensiero di Marx non risiede tanto, come abbiamo visto, nelle opere di Marx stesso. Forse il suo unico limite, come ci ricorda Agnes Heller [6], è di essere stato un uomo dell’Ottocento (“colpa” che va attribuita al fatto che Marx è nato ed è stato un uomo del suo tempo), di aver cioè costruito un sistema teorico-politico basato sulla fiducia nelle sorti magnifiche e progressive dell’umanità, di aver abbracciato con troppa sicurezza e naturalezza il positivismo del suo tempo, ignorando temi che emergeranno solo con il Novecento, come la psicologia e la questione ambientale.

Un limite, tuttavia, non imputabile a Marx. Come Hegel arrestò la sua Fenomenologia ai tempi di Napoleone, perché questo era il suo orizzonte storico determinato ed insuperabile, così Marx analizzò come scienziato, non come mago né profeta, il suo mondo, la società capitalistica che aveva di fronte, non potendo andare oltre né ricamare ricette per l’avvenire. Anche se già ne I Manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx si sofferma sul tema ambientale, oggi diremmo ecologico. Descrisse il comunismo come l’unica costellazione sociale in grado di riunificare organicamente l’uomo alla natura dopo aver superato l’alienazione e la reificazione del capitalismo, dopo aver finalmente pianificato razionalmente e diretto la produzione non al profitto sfrenato ma ai veri e concreti bisogni umani. Finché la società sarà retta dalla valorizzazione incessante del valore, del capitale come accumulazione allargata su scala mondiale, finché la quantificazione vincerà sulla qualificazione, finché perdurerà la reificazione umana, la natura sarà sempre estranea e nemica dell’uomo. Solo nel comunismo, il lavoro trasformerà armonicamente la natura e l’uomo si sentirà parte di essa come specie, tornerà a sé come ente naturale generico. Sta anche qui, come asserirono puntualmente due grandi teorici marxisti come Giuseppe Prestipino [7] e Sebastiano Timpanaro [8], l’attualità del pensiero marxiano. Il comunismo è la vera e concreta risoluzione del conflitto millenario tra uomo e natura. Tra produzione ed ecologia, con buona pace delle tendenze oggi operanti che si richiamano a Malthus (che Marx distrusse già nella metà dell’Ottocento) e alle usurate teorie della decrescita e della sovrappopolazione.

Spunti, tracce ed indicazioni, che vanno certamente rivisitate e rielaborate alla luce delle trasformazioni oggettive e della nuova fase storica. Ma la loro presunta inattualità si annida perniciosamente nei goffi tentativi portati avanti da opportunistici burocrati della penna, da intellettuali da salotto, da accademici di “belle arti” che attraverso Marx sperano di ritornare sulla cresta dell’onda e vendere magari qualche copia in più, ingegnandosi nel rendere superata a tutti i costi la critica rivoluzionaria di Marx, depotenziandone la valenza politica.

Un Marx “profeta muto” che va ben distinto dal suo essere, ancor oggi, il principale rappresentante teorico e politico di un movimento che come un fiume carsico riemerge inaspettatamente dalle gole di un pantheon ideologico nichilistico ormai logoro, in grado di ispirare e dirigere chi produce tutta la ricchezza mondiale (solo in Europa i lavoratori nell’industria sono il 70% del totale degli occupati, altro che scomparsa delle tute blu), alla piena coscienza di sé, della loro intrinseca forza [9].

Il secolo di Marx, il secolo che nel Manifesto del Partito comunista datato 1848 descrive così bene assieme ad Engels (tanto da essere scambiati per visionari), è il Ventunesimo secolo ed qui sotto i nostri occhi. Il nostro dovere è quello di comprenderlo con le armi teoriche, il metodo d’indagine scientifica che ci hanno lasciato in eredità per travolgerne alla radice i rapporti di forza e non per ammirarne in silenzio, assecondarne con timidi bisbigli il lento ed inesorabile declino, come ebbe egregiamente a dire Mario Tronti, in un suo famoso saggio apparso cinquant’anni orsono su “Società” (1961). 

La scienza del capitalismo, la scienza del Capitale, è possibile solo nella prospettiva della rivoluzione socialista. Scienza e storia è un discorso che cade ancora tutto dentro la scienza: è la logica della teoria. Ma c’è l’altro discorso: scienza e storia che cadono tutte dentro la storia, che è la logica pratica. La prima presuppone un pensiero materialista, la seconda una prassi sovversiva. Oggi, dire teoria pratica è poco. Bisogna dire teoria scientifica e pratica rivoluzionaria. Perché c’è anche una teoria eclettica e una pratica riformista. Quando si dice scienza e storia, si deve poi dire anche: teoria e rivoluzione. In fondo, la prima scienza della storia è la nostra teoria della rivoluzione. E’ nella logica del Capitale la rivoluzione operaia [10].

 [Continua da http://criticaimpura.wordpress.com/2013/09/26/attualita-e-inattualita-del-pensiero-di-marx-totalita-scienza-e-dialettica1/]


[1] Cfr. K. Marx, Il Capitale, vol. 1, a cura di Delio Cantimori, Editori Riuniti, Roma 1973.

[2] Una superiorità dinamica, basata sulla negazione determinata di ogni positività, che non uccide, come asserì ossessivamente della Volpe in Logica come scienza positiva, le identità concrete (capitale-lavoro) annichilendole nel loro trapassare dialettico una nell’altra, bollando l’influenza della logica dialettica e il ricorso al movimento dialettico della realtà storica, come residui di “misticismo” hegeliano-eracliteo, nell’aristotelismo kantiano di Marx. Anzi, le fonda ad un più alto piano di consapevolezza logico-storica, aprendo con ciò la strada ad una sintesi qualitativamente “superiore”, specificatamente all’Aufhebung comunista. Ciò portò della Volpe e alcuni esponenti della sua scuola, incluso Colletti, a sostituire per decenni alla contraddizione dialettica (A-NON A) il sillogismo delle opposizioni reali (A-NON A =B). Solo agli inizi degli anni ’60, della Volpe comprese “l’essenza” dialettica irriducibile del pensiero marxiano.

[3] Ed è per questo che il comunismo scientifico non era pensabile nel medioevo, all’interno di una formazione economico-sociale non in grado, concettualmente e materialmente, di elaborare una simile teoria. E questo dimostra come la scienza, il pensiero, siano prodotti determinati di determinate epoche storiche. O meglio, il pensiero del comunismo c’era già, solo in forme ideali e primitive. Una sorta di “coscienza infelice” per dirla con Hegel, non ancora pienamente e realmente cosciente di sé come progetto di liberazione dell’umanità intera dalle catene della servitù salariata.

[4] Alcune zone crescono perché assicurano maggiori percentuali di profitto e zone decrescono perché non riescono più ad assicurare, per vari motivi, quelle quote di plusvalore tradizionalmente acquisite. Marx dimostrò,  già nel 1848, che il capitale è per sua natura internazionale, il suo spazio vitale è il mondo; va dove ci sono le maggiori percentuali di profitto al minor costo, riducendo se necessario la quota di capitale variabile e concentrando-razionalizzando il capitale costante.

[5] Sfide che dobbiamo, a mio avviso, ancora oggi comprendere nella loro piena e concreta portata storica, nei risultati realmente e complessivamente conseguiti al di là delle loro forme fenomeniche. Per parlare di inattualità, è il caso di riflettere sui numerosi tentativi di associare i disastrosi esperimenti dei cosiddetti “socialismi reali” (in realtà irrealizzati), dei vari capitalismi di stato spacciati per comunismo (URSS, DDR, Albania, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, ecc), alle teorie di Marx, Engels e Lenin. Un discorso vecchio ed usurato, che da trent’anni tenta di screditare l’intera analisi politica e della teoria dello stato marxiana (presente in Marx e in Lenin, con buona pace di Bobbio e Colletti); una teorizzazione che andrebbe ripresa con forza, così come quella delle classi, sostituita ideologicamente dalla sociologia del ceto e dalla condizione. E’ davvero inconcepibile che ci sia ancora gente convinta che in Albania, così come nel blocco orientale, ci fosse il comunismo e che i suoi “profeti” fossero Marx, Engels e Lenin. Ora, è evidente che quei regimi si rifacessero, inopinatamente, alle teorie di Marx. Ma non possiamo né dobbiamo attribuire a Marx simili responsabilità. Così come non possiamo né dobbiamo attribuire a taluni scritti di Nietzche la nascita e l’origine del nazionalsocialismo. Ispirarsi o strumentalizzare una teoria, fare di un uomo concreto un mito, un simulacro muto che non può difendersi, solo per avere una copertura ideologica atta ai propri scopi di dominio e oppressione, non significa renderlo correo delle malefatte compiute in suo nome. Occorre fare pulizia. Bisognerebbe fare una discussione profonda e radicale su questo, per sgombrare il campo una volta per tutte da queste costruzioni ideologiche costruite ad hoc.

[6] Agnes Heller, Per una teoria marxista del valore, Editori Riuniti, Roma 1974

[7] Cfr. il suo densissimo libro Natura e società, Editori Riuniti, Roma 1973.

[8] Cfr. le due sue opere principali Sul materialismo e in particolare la raccolta di saggi ed articoli Il rosso e il verde, in cui si concentra sul nesso inscindibile tra la lotta “rossa” per il comunismo con la battaglia “verde” ecologista. L’una non può esistere senza l’altra. L’una fonda il presupposto dell’altra.

[9] Lenin ebbe a dire che il proletariato mondiale sarebbe una potenza tra le potenze se solo prendesse coscienza di esserlo e di organizzarsi teoricamente e politicamente a tal fine.

[10] Mario Tronti, “La logica del Capitale”, Società, 1961


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