Il sostantivo amante ha un duplice significato. Colui che manifesta passione per qualcosa ovvero chi intrattiene una relazione libertina; queste due definizioni donano il carattere del nostro soggetto: audace e tenero.
Terrence Malick è un amante prima d’essere un cineasta perché la sua raccolta emozione crea storie non catalogabili. La violenza, spesso presente nei suoi film, è insieme all’amore un semplice pretesto per raccontare una verità. Si susseguono allora frammenti che non distinguono ricordi da sensazioni.
Qualsiasi sia il film che si scelga di vedere (da La rabbia giovanile, La sottile linea rossa, The Tree of Life o il prossimo To the Wonder) si deve essere certi che i film andrà rivisto. La prima visione può essere forviante, per poter apprezzare o disdegnare queste storie, tra l’altro molto lunghe, è meglio visionarle più di una volta. Il montaggio rende molto difficile la comprensione delle trame, anche se in nostro aiuto troviamo una fotografia eccelsa. Il limite di queste opere, in particolare delle ultime due sopracitate, è la loro incomprensibilità che da un lato suscita un fascino irresistibile per alcuni spettatori perché vengono portati a riflettere; per altri è un’indefinibile successione di scene spesso mute che rende il percorso narrativo autoreferenziale e affatica annullando la filosofia di Malick. Come in un’antica filosofia si crea un dualismo tra chi ama questo personaggio così schivo e chi lo trova un ciarlatano.
Ogni suo film suscita in me grande interesse, e l’uomo come tema centrale è per me una grande calamita. In particolare adoro le scene che rivelano i dettagli: scorci in cui vengono mostrate le mani dei protagonisti, oppure abbracci che si consumano nel dramma di una passione. Essendo un appassionato amante il suo lavoro non potrebbe essere diverso senza cadere in semplice retorica.