Augusto Barbera oggi alla Camera su riforma elettorale e costituzionale | dal blog di stefano ceccanti, 15 aprile 2015

Creato il 15 aprile 2015 da Paolo Ferrario @PFerrario

(sottolineature mie)

Traccia di Augusto Barbera

per l’Audizione sulla legge elettorale
Camera dei deputati 13 aprile 2015

Eviterò una tentazione: quella di basare il giudizio sul testo in corso di esame a Montecitorio sulla base delle mie personali preferenze in ordine ai sistemi elettorali. Ho fatto battaglie nel movimento referendario per i collegi uninominali maggioritari e non le rinnego ma il testo in discussione è il frutto di dinamiche politiche e di equilibri politici di cui bisogna tenere conto: l’alternativa è l’impotenza parlamentare e il discredito delle istituzioni politiche.
Non credo peraltro che questo testo ponga problemi di legittimità costituzionale. Anzi colgo l’occasione per dissociarmi da quei colleghi costituzionalisti che con troppa leggerezza mettono in campo la Carta costituzionale. Se problemi ci sono essi vanno valutati in termini di coerente “politica costituzionale”, non in termini di “diritto costituzionale”.
Due regole non mi convincono: la pluralità delle candidature e la clausole di esclusione , perché la prima interrompe il rapporto diretto con gli elettori del collegio pluri-nominale e perché la clausola troppo bassa (il 3%) non incentiva l’aggregazione di uno schieramento alternativo. Ma mi rendo conto che modificando questi punti verrebbe ad alterarsi la base parlamentare che sostiene questo progetto (la clausola bassa è stata voluta dalla minoranza interna del PD e dai Partiti alleati di governo) e credo che in politica bisogna arrendersi di fronte al principio di realtà.
Dico subito che, con questo spirito, da cittadino, guarderei con preoccupazione alla modifica del testo faticosamente approvato dal Senato, e quindi alla possibile riapertura di logoranti discussioni.
Ma dico questo non in via pregiudiziale ma perché non mi convincono le motivazioni di chi vorrebbe modificare il testo. Li raggruppo per questioni.

Premio alla lista più votata e non alla coalizione di liste ?
E’ una soluzione che tiene conto di una critica martellante che negli anni scorsi veniva rivolta a tutti i sistemi maggioritari (o parzialmente maggioritari): quella di dare vita a coalizioni rabberciate idonee a vincere ma non in grado di governare . Critiche non infondate, che infatti portarono alcuni di noi all’iniziativa referendaria del 2009 (c.d. referendum Guzzetta) che passò il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale (Sentenza n.15 del 2008), ebbe la stragrande maggioranza dei votanti ma non ottenne il prescritto quorum degli aventi diritto al voto. Quel referendum, incidendo con un taglio sull’espressione “premio alla lista o alla coalizione di liste”, tendeva ad assegnare il premio alla lista più votata. Scorrendo i nomi dei promotori vedo non pochi critici della attuale soluzione (allora si dichiararono favorevoli sia Veltroni, che schierò a favore larga parte dei DS ma tuttavia non firmò per non indebolire la variegata coalizione che sosteneva il governo Prodi, da Mastella a Turigliatto; sia lo stesso Berlusconi che non firmò preoccupato dei buoni rapporti con la Lega Nord). Allora si trattava di coalizioni presenti in una competizione a turno unico: ancor peggio sarebbe se – come prospettato da taluni – si desse la possibilità di dare vita a coalizioni fra il primo e il secondo turno, in una fase in cui l’affanno è maggiore e maggiore la rendita di posizione di taluni partiti. Vedo ora che c’è chi dice che la soluzione in questione sarebbe concepita a favore del Pd, oggi primo partito. Ma quando si svolse il referendum nel 2009 molti sostenevano che fosse su misura del Pdl che superava allora di più di 10 punti il Pd. Bisogna stare attenti – io credo – ai ragionamenti di breve periodo, frequenti nel dibattito sulle leggi elettorali.
Per me è un’ ottima soluzione, che non esclude – è vero – che la coalizione di liste possa essere soppiantata da una “lista di coalizione”; ma si tratterebbe di una lista pur sempre legata al medesimo programma e al medesimo leader, con non pochi benefici per la stabilità e la governabilità.
Faccio una obiezione a me stesso: ma nelle elezioni comunali è prevista la possibilità di ridefinire le coalizioni fra il primo e il secondo turno? A parte il fatto che trattasi di una soluzione poco praticata va sottolineato che gli effetti disgregativi di coalizioni non omogenee sono fortemente contenute dalla elezione diretta del Sindaco e dalla presenza della clausola “simul stabunt, simul cadent”.

Possibile debolezza della base elettorale di chi vince al secondo turno?
Potrebbe aversi una caduta della partecipazione? Normalmente così non è allorché al secondo turno si profila una reale competizione. Ma, peraltro, quale, in regimi a turno unico, la base elettorale che elegge i Presidenti degli Stati Uniti (un quarto degli elettori per lo più) o che investe il partito maggiore nel Regno Unito (con il 37%-40% ottennero importanti vittorie elettorali Margaret Thatcher o Tony Blair)?
Potrebbe verificarsi – viene aggiunto – una dis-proporzionalità fra i voti ottenuti al primo turno (magari non elevati, comunque inferiori al 40%) e quelli ottenuti al secondo turno ? Francamente non capisco questa obiezione ! Chi vince il ballottaggio otterrebbe almeno più del 50% dei votanti e avrebbe, comunque, un premio assai modesto rispetto ai voti ottenuti (fino a potere essere dis-proporzionale rispetto ai voti ottenuti al secondo turno).
E’ nella logica del ballottaggio (per quanti, almeno, guardano con favore a qualsiasi doppio turno) che al secondo turno l’elettore possa cambiare il proprio voto , per esempio votando il candidato o il partito meno sgradito. Ma, lo dico più in generale, la funzione dei sistemi elettorali, ci ricordava Maurice Duverger, non è quella di un “appareil photografique” ma quello di fungere da “transformateur d’energie” della sovranità che spetta al popolo. E’ impossibile rappresentare tutti gli interstizi di una società (lo possono talvolta fare i “sondaggi”) ma è già un successo democratico consentire ai cittadini di decidere scegliendo la “più forte delle minoranze”.

Preferenze?
Vantaggi e svantaggi del sistema delle preferenze sono arcinoti. Da male “assoluto” non possono trasformarsi in “bene assoluto”. I Capilista nominati? Forse ricordo male : ma nella prima Repubblica dove i voti di preferenza contavano (nel bene e nel male) c’è mai stato un capilista che non sia stato eletto? Ma ciò avveniva proprio perché collocato dal proprio partito (“ quindi nominato“) in quella posizione di visibilità e preminenza?
Chiedo ai sostenitori dell’allargamento delle “preferenze”: non temono che il nuovo reato di “scambio politico elettorale” (la nuova formulazione dell’art.416 ter approvato nell’aprile 2014) possa appesantire il lavoro della Procure della Repubblica? Fino a qualche anno fa si consideravano virtuose le regioni ove si registrava un minor numero di preferenze esprimibili (il 15% circa in Lombardia o Veneto rispetto all’80% circa dei territori meridionali), perché meno inquinate da voti clientelari; ma oggi, viste le infiltrazioni criminose anche nelle regioni settentrionali, non deve preoccupare ancor più lo scarso ricorso al voto di preferenza che finisce per dare ancora più risalto al controllo di poche centinaia di voti da parte di gruppi di pressione (non sempre limpidi)?
E che dire del colpo definitivo che il ricorso in larga scala alle preferenze può infliggere ai partiti , già per vari versi indeboliti, a vantaggio di “fondazioni” e comitati elettorali vari?

Forma di governo “ in senso presidenziale” ?
Si obbietta che il combinato legge elettorale-unicameralismo politico venga ad alterare la forma di governo, realizzando un “presidenzialismo di fatto” senza i contrappesi necessari. Non capisco il riferimento al “presidenzialismo”, sistema che fa perno sul capo dello stato come organo di governo. Mi piace invece ricordare che saremmo di fronte ad un rafforzamento del Primo Ministro che è , da tempo , la caratteristica di tutti i sistemi parlamentari funzionanti (Regno Unito, Cancellierato tedesco, premierato spagnolo). Agli inizi degli anni Novanta questo sistema fu alla base del movimento referendario in alternativa al presidenzialismo di Craxi o di Cossiga ma era anche stato alla base della elaborazione di Roberto Ruffilli (il “cittadino come arbitro”). Fu una delle due alternative su cui lavorò la Commissione D’Alema ed è stata, infine, la formula adottata a larga maggioranza all’interno della Commissione dei 35 Saggi voluta dal Governo Letta. Fu una formula di compromesso fra chi voleva mantenere i tratti assemblearistici della nostra forma di governo (sia pure “razionalizzati”) e chi invece preferiva una forma di governo semipresidenziale (peraltro votata dal Senato allo scadere della XVI legislatura).

L’assenza di “contrappesi”?
Non voglio mancare di rispetto ai parlamentari e agli autorevoli commentatori (compreso qualche costituzionalista) che riprendono questo argomento ma a me pare un logoro “luogo comune” .
Ma quali sono i contrappesi nel Regno Unito dove il Primo Ministro decide l’ordine del giorno di Westminster (per i tre quarti del tempo), dove tramite il Cancelliere dello Scacchiere può porre il veto su qualunque emendamento che aumenti la spesa o diminuisca l’entrata, dove il Capo dello Sitato (a differenza dell’Italia) ha solo funzioni simboliche, dove non esiste una Corte costituzionale (ora stanno tentando di costruire una Suprema Corte ), ove i Magistrati non hanno le garanzie che assicura la Costituzione italiana (gli inquirenti sono in pratica funzionari del governo o la stessa polizia), ove non esistono i referendum di tipo abrogativo, dove non vigono, perché non sottoscritte, le parti dei Trattati europei che delineano la Carta dei diritti, ecc. ecc. Né, credo, che la Camera dei Lord possa oggi rappresentare un contrappeso rispetto alla Camera dei Comuni, maggiore di quanto non possa il Senato regionale.
Si ricorda talvolta il presidenzialismo americano che conosce un contrappeso nelle due Camere ma si dimentica di sottolineare che i Presidenti godono di un potere di veto inimmaginabile in un sistema parlamentare. In ogni caso la forma parlamentare di governo stabilisce un legame fra governo e maggioranza parlamentare attraverso il rapporto di fiducia. Quindi non ha senso cercare i contropoteri nel Parlamento inteso in un tutto unico (la letteratura europea e lo stesso Leopoldo Elia hanno sempre sostenuto che il “governo è il comitato direttivo della maggioranza”) ma piuttosto nei poteri che vengono riconosciuti ai singoli parlamentari e alle opposizioni. Sulla base del principio posto dal testo di riforma costituzionale sullo “Statuto delle opposizioni” potrebbe essere possibile in sede di riforma regolamentare dare qualche forma di riconoscimento preferenziale alla minoranza che è andata al ballottaggio, anche rispetto alle ulteriori minoranze, rimediando quindi alla possibile frammentazione indotta tra i perdenti dalla soglia bassa del 3%,
Non va dimenticato peraltro che il progetto di riforma costituzionale: valorizza l’attività parlamentare ponendo limiti alla decretazione d’urgenza e prevedendo, appunto, prerogative specifiche per le opposizioni;
valorizza la partecipazione popolare rendendo più agevole il raggiungimento del quorum per le consultazioni referendarie e assicurando termini certi per la discussione dei progetti di legge di iniziativa popolare.

E infine, il progetto eleva le soglie per la elezione del Capo dello Stato (e, lo dico rapidamente , il regolamento del Parlamento in seduta comune potrebbe – forse – andare oltre, imponendo il preventivo deposito di candidature e introducendo forme di voto “alternativo” che valorizzino l’apporto dei singoli parlamentari rispetto agli accordi fra i partiti).

da:

Augusto Barbera oggi alla Camera su riforma elettorale e costituzionale | stefanoceccanti.


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