Sebbene la pressione fiscale continui ad aumentare sotto diversi punti di vista (basti pensare ai costi elevatissimi che hanno raggiunto i carburanti, oppure alle sigarette per le quali è stato recentemente
previsto un ulteriore incremento di 20 centesimi a pacchetto), questa manovra ha scelto di colpire proprio l’unico aspetto che avrebbe semmai meritato un ridimensionamento.
La quota di IVA versata nelle casse dello Stato è da considerare infatti come un importantissimo indicatore dell’economia nazionale. Affinchè gli introiti provenienti dall’IVA possano essere consistenti, infatti, è necessario che le imprese producano molto, che i professionisti lavorino in maniera florida, insomma in generale che l’economia sia solida e bene avviata.
L’odierna situazione economica nazionale presenta un quadro diametralmente opposto, con aziende di ogni dimensione (da quelle individuali fino a quelle più grandi) che fanno grande fatica a rimanere aperte e dunque anche a creare occupazione, e con una economia al palo che stenta a ripartire.
Si sente spesso parlare nei dibattiti sulla crisi economica della necessità di rilanciare i consumi, e non è certo un caso se l’Istat ed importanti enti di ricerca svolgano delle indagini dettagliate proprio su questo aspetto. Infatti, nonostante sia proprio questo il problema prioritario della nazione, e cioè di aumentare il reddito delle famiglie affichè si possano attivare i “circoli virtuosi” dell’economia, con maggiori consumi, maggiori profitti da parte delle aziende, maggiori investimenti e maggiore occupazione, invece la manovra del Governo ha scelto di porre questo grosso ostacolo dinanzi alla ripresa economica del Paese.
I numerosi propositi finalizzati al taglio della spesa pubblica sono rimasti, per ora, solo su carta, mentre di concreto c’è solo questo nuovo provvedimento che va a pesare sui professionisti, sulle imprese e, soprattutto sull’utilizzatore finale, cioè il cittadino consumatore.
E che dire infine dell’evasione fiscale? Ma questa è un’altra storia.