Paolo Bellutta posa (in ciabatte) con il rover Curiosity per una foto ricordo.
Ieri sono stati Spirit e Opportunity. Oggi è il momento di Curiosity (vedi MediaINAF). Domani forse ci andremo di persona. Dove? Ma su Marte, è ovvio. Il membri del Congresso americano non sono ancora convinti della fattibilità della cosa e Obama, dopo aver annunciato e riannunciato l’uomo su Marte ha aggiustato il tiro proponendo un asteroide. certo arrivare fin laggiù – sul Pianeta Rosso – non sarà uno scherzo. Molto, quasi tutto, è ancora da fare. Nell’attesa la superficie marziana è già terreno di passeggiate per noi umani, grazie alla tecnologia rover. Robot controllati in remoto capaci di muoversi, esplorare, misurare il territorio marziano. Annusarne l’atmosfera. Osservarne i panorami. Raccogliere campioni.
Ma come si costruisce una macchina sofisticata come un robot spaziale? Come lo si fa atterrare su un pianeta lontano? Là deve resistere per anni all’atmosfera marziana e muoversi su un terreno accidentato. Con quale energia lo si fa funzionare e con quali istruzioni di guida? Ce lo spiega in un libro Paolo Bellutta, fisico e informatico, uno dei sedici rover driver del Jet Propulsion Laboratory (JPL) NASA, il laboratorio del Caltech di Pasadena da cui si guidano i veicoli robotici che esplorano il Pianeta Rosso. Insieme a lui un giornalista naturalista: Stefano Della Casa. Titolo: Autisti marziani, in libreria per i tipi di Zanichelli.
Curiosity è il più avanzato veicolo robotizzato per l’esplorazione planetaria mai costruito. Una tonnellata di tecnologia d’avanguardia con la missione di esplorare Marte e scoprire se sono mai esistite le condizioni idonee per la vita come noi la conosciamo. Intere carriere dipendono dall’esito di questa missione, compresa quella di Bellutta, attualmente membro della squadra di sbarco del Mars Science Laboratory e che ha contribuito in maniera determinante alla selezione del sito di atterraggio di Curiosity.
Un tempo a Pasadena il JPL costruiva razzi, compresi quelli che portarono l’uomo sulla Luna, ora invece è dedicato alle missioni spaziali robotizzate per l’esplorazione del Sistema Solare. Macchine cariche di strumenti scientifici in grado di trasmetterci via radio le loro misurazioni. Perché a spingerci verso Marte è soprattutto la curiosità scientifica, al di là della sfida ingegneristica. Qual è la storia geologica del pianeta? C’è stata l’acqua? Ci sono i materiali organici tipici della vita? Il compito di Curiosity è provare a rispondere a queste domande. L’obiettivo del libro è raccontarci la storia dei rover fino a qui.
Un saggio didattico, quindi. Ma con un incipit al cardiopalma, tutto dedicato ai 14 minuti di terrore vissuti da chi il 5 agosto 2012 lavorava al JPL: alle ore 22.17 (in Italia le 7.17 del 6 agosto) gli strumenti mostravano che il veicolo spaziale con a bordo il rover della missione Mars Science Laboratory, Curiosity, doveva ancora entrare nell’atmosfera marziana.
In quell’istante Curiosity in realtà si trovava già sul suolo marziano, ma su Terra non sapevamo ancora se si fosse sfracellato o delicatamente sbarcato come da programma. Marte infatti in quel momento si trovava a 248 milioni di chilometri, e i segnali radio impiegano circa 14 minuti a giungere fino a noi. Oggi sappiamo che quell’ammartaggio è andato bene e dal Gale Crater, il gigantesco cratere che ha al centro un rilievo di cinque chilometri e mezzo di altezza, il Monte Sharp, Curiosity ha preso a camminare.
Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga