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Autogestione, autofinanziamento dal basso e multietnicità per garantire il diritto all'abitare.

Creato il 08 febbraio 2013 da Gianna
Autogestione, autofinanziamento dal basso e multietnicità per garantire il diritto all'abitare. Va avanti da oltre 3 anni l’occupazione della ex scuola di Via delle Acacie 56, nel cuore di Centocelle; una scuola elementare di proprietà della famiglia Luciani, a cui il comune di Roma pagava l’affitto. Quando la didattica fu trasferita in un nuovo edificio pubblico, nel gennaio 2008, lo stabile di via delle Acacie fu lasciato a se stesso. Così nel maggio dello stesso anno il Comitato di lotta per la casa decide di occuparla con 70 famiglie. Poco prima avevano tentato di occupare una scuola abbandonata a Ponte Mammolo, ma alcuni residenti del quartiere, spalleggiati da un gruppo di militanti di estrema destra, in poche ore li costrinsero a sgomberare con taniche di benzina, insulti xenofobi e minacce. Oggi in via delle Acacie 56 vivono 49 famiglie distribuite su 6 piani dello stabile: le aule sono diventate mini-appartamenti dignitosi e accoglienti, il seminterrato, che ospitava la palestra, è ora sede di alloggi provvisori per le famiglie in attesa di sistemazione, un ampio spazio in comune e un’ officina popolare. 49 famiglie corrispondono ad altrettante storie, di migranti e italiani, romani e meridionali, giovani anziani e bambini, tutti accomunati dall’esigenza di avere un tetto sotto cui ripararsi, ma soprattutto una sistemazione dignitosa e alternativa rispetto a case popolari e residence, che il Campidoglio promette invano da anni. Attualmente Roma spende 33milioni di euro l’anno per dare un alloggio popolare a circa 1500 famiglie nei residence, pagando mensilmente, a proprietari privati, un canone di circa 1800 euro al mese. E restano in attesa di ottenere un alloggio circa 80mila famiglie: i bandi per le assegnazioni sono fermi dal 2007, e la lista non scorre più. Dal 2007 ad oggi l’emergenza abitativa a Roma è ovviamente peggiorata, sempre più persone hanno perso il lavoro, e con esso la possibilità di pagare un affitto o un mutuo: solo nel 2011 sono state 6 mila le sentenze di sfratto in città, e gli sfratti esecutivi sono quantificati in 2 mila circa ogni anno. Nella maggior parte dei casi la causa è la morosità associata al costante aumento dei canoni d’affitto, che a Roma non sembrano risentire della crisi. In una situazione tale, ciò che fa il Comitato di lotta per la casa può trasformarsi in modello: auto-finanziamento, autogestione e condivisione collettiva delle abitazioni come beni comuni.E ancora: multietnicità, comunità e sincretismo culturale. Gli occupanti provengono dall’America Latina come dai Paesi Arabi, dal Sud Italia come dai Paesi dell’Europa dell’Est. Le donne sono il motore dell’occupazione: alle assemblee prendono la parola, decidono e sono quasi sempre loro a votare a nome delle famiglie occupanti. Le donne decidono come arredare e personalizzare gli appartamenti e, soprattutto, tutta al femminile è la leadership del comitato formata da Pina, Silvia e Serena. Da circa un anno lo stesso gruppo ha occupato anche la scuola Hertz, altro stabile abbandonato a pochi passi dalla stazione Anagnina. “Via delle Acacie è stato definito ‘il modello dell’occupazione a cinque stelle’, ci spiega Silvia, ma con l’Hertz siamo riusciti ad andare oltre, affermando la necessità dell’auto-costruzione”. All’Hertz, infatti, ogni famiglia versa mensilmente una quota di 100 euro per un fondo cassa collettivo, ognuno si dà da fare, secondo le proprie competenze, per costruire i nuovi appartamenti senza sapere qual è quello in cui poi andrà a vivere. E ogni alloggio rispetta le normative vigenti, ha un proprio bagno e tutti i comfort. “Molti bambini prima di entrare alla Hertz o nella scuola di via delle Acacie non conoscevano un bidè o un box doccia, così come non avevano mai avuto a disposizione spazi in cui giocare o studiare tutti assieme” ci racconta Pina. Proprio sui bambini il comitato vuole scommettere, e a loro vuole dare un futuro oltre che un’abitazione: per i bambini sono allestiti spazi verdi così come una piscina per l’estate, sono previste ripetizioni scolastiche e attività ricreative; e tutto avviene con un genuino e sano scambio culturale, esempio di integrazione che funziona e che raramente è osservabile in pezzi anche molto avanzati di società. E il Comitato di lotta per la casa propone al Campidoglio di riconoscere il lavoro sinora svolto. Come? Per esempio acquistando gli immobili dai privati, e accettando poi di ricevere un fondo (anche per pagare le utenze) dalle famiglie occupanti – “che non hanno nessuna intenzione di occupare gratis un alloggio, semplicemente vogliono pagare quanto possono” ribadiscono in assemblea –, e lasciando alle stesse la possibilità di gestirli collettivamente. E allo stesso modo gli innumerevoli immobili pubblici che Roma si appresta a svendere ai privati, potrebbero restare pubblici ed essere gestiti collettivamente per risolvere, o arginare, l’emergenza casa a Roma che sta generando un esercito di nomadi del terzo millennio. Le istituzioni non rispondono, ma queste pratiche stanno dimostrando che spesso al fallimento dei due modelli di pubblico e privato occorre rispondere con una terza via: quella dell’autogestione collettiva e dal basso. Fonte

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