Un film sicuramente imperfetto con alcuni buchi di sceneggiatura e soprattutto dal ritmo altalenante che però riesce a esercitare un grande fascino nonostante i problemi.
Il cast è interessante anche se è sprecata la figura del poliziotto che odia i robot interpretato da Dylan McDermott, però è un piacere rivedere in un ruolo interessante Banderas, fuggito dal Mulino Bianco ed è divertente che al suo primo incontro con la dottoressa Dupré, interpretata da Melanie Griffith, lei gli punti un fucile in faccia.
Automata si inserisce in quel filone di sci-fi post moderna capeggiata da Duncan Jones e Neil Blomkamp e se in Distric 9 gli alieni erano una metafora dei diseredati della Terra, ora questo ruolo è riservato ai robot: molto azzeccato il riassunto in bianco e nero con musichetta trionfale della parabola dei Pilgrim, osannati come eroi quando si accingono al compito di ripristinare il clima terrestre nei deserti radioattivi che circondano le poche città, vengono sbeffeggiati e martoriati al loro ritorno fallimentare, come tutti i veterani da Rambo in poi.
Il regista è sicuramente un fan sfegatato di Blade Runner e la città futuristica in cui si svolge l'azione ricalca fedelmente la scenografia del capolavoro di Ridley Scott: eterna pioggia radioattiva e grandi ologrammi pubblicitari che si stagliano nel cielo.
Il coraggio di Ibanez sta nel rovesciare i personaggi: destinati a “scomparire come lacrime nella pioggia” sono gli esseri umani con i loro ricordi di un passato reale ma ormai completamente obsoleto mentre i robot diventano gli eredi della Terra sicuramente destinata a rifiorire sotto una civiltà che ha per dogma inalienabile quello di non far mai del male a nessun essere vivente.
Con questo messaggio di amara speranza diventa secondario capire se la capacità dei robot di rigenerarsi è stata progettata dal robot primario senza protocolli oppure dall'uomo o meglio ancora se si è sviluppata casualmente perché la vita trova sempre una strada.