Sali le scale di un palazzo decadente e sublime sul Canal Grande e sobbalzi di paura, un suono improvviso! Poi ti volti e sorridi: su un davanzale alle tue spalle un automa in forma di tamburino suona a chi passa. Così capisci che la mostra che stai per vedere non è di quelle un po’ snob che potresti aspettarti alla Fondazione Prada di Venezia,
né è del genere intellettuale astruso come puoi sospettare dall’introduzione di Germano Celant sul dépliant guida che ti è stato messo in mano dagli addetti all’ingresso: sembrano commessi di un negozio del centro ma sono gentilissimi e ti aiutano a provare i pezzi interattivi, dal tavolo in marmo che puoi suonare come uno xilofono al telefono con la voce di Laurie Anderson che ti risponde “davvero”…
In queste stanze di rara bellezza, sono tantissimi i pezzi che si animano, la mostra è viva e attraversa i secoli lungo il confine sottile fra musica e arte, fra ingegno tecnico (gli automi settecenteschi) e studio delle implicazioni sensoriali della musica. Parte a suonare la gabbia con gli uccellini cantori, un capolavoro di orologeria e automatismi del ‘700 (l’uccellino impagliato era fatto persino per muovere il becco!), s’intromette la scatola musicale a disco (strumento meccanico creato a Lipsia nel 1900), ma l’organo di Barberia azzittisce entrambi per essere a sua volta battuto da un altro marchingegno musicale ed è tutto un correre verso l’ultimo che si è messo a suonare, il coro dei visitatori fa “Ohhhh”, tutti stupiti come bambini, “Guarda qui!”.
Ci sono cose incredibili in questa mostra che da sola vale un viaggio a Venezia. Automi musicali sofisticatissimi, come l’incantatrice di serpenti del 1890, una bambola meravigliosa in grado di suonare e persino respirare. Strumenti impensabili come il pirofono, un organo a canne di vetro in cui si accendono delle fiamme che producono suono (no, purtroppo non è in funzione). Opere provocatorie dagli anni ‘60 a oggi e progetti impegnati come il “juke box of people trying to change the world”, con una raccolta ancora in progress di 2.200 canzoni su questioni sociali e sui diritti civili. Qui tutto suona e lo fa da solo sorprendendoti; oppure non suona affatto ma ti incanti a guardarlo, come i grammofoni che sembrano gigantesche petunie rosa o il Piano di Richard Artschwager, uno scultore che reinterpreta oggetti d’arredo e ti illude che un mobile sia un pianoforte…
Potrei continuare per ore, ma non è giusto rubarvi lo stupore. Consiglio questa mostra perché è diversa da ogni altra; perfetta da vedere anche con i bambini, basta avere la pazienza di leggere anche a loro, davanti a ogni oggetto, quello che il dépliant racconta: per ogni cosa esposta, la guida apre una finestra su storie, utopie, ingegno e curiosità.