Internet e fumetti: gli autori nell’era social era un articolo che cercava di analizzare il rapporto che scrittori e disegnatori di fumetti hanno instaurato con la Rete, sotto il profilo della comunicazione e del rapporto con i propri lettori.
Abbiamo deciso di proseguire quel discorso interpellando i diretti interessati, in una serie di interviste volte a riflettere sui diversi utilizzi del web da parte degli addetti ai lavori del mondo del fumetto.
Fausto Vitaliano (1962) scrive libri e sceneggia fumetti e cartoni animati. Ha lavorato per Disney (collaborazione che continua attualmente sulle pagine di “Topolino”), Bonelli (lo scorso luglio è uscito il suo albo d’esordio con la collana “Le Storie”), Panini e altri editori.
Per la casa editrice Laurana ha pubblicato nel 2012 il suo romanzo d’esordio, “Era solo una promessa”, l’anno seguente “Sex Pistols. La più sincera delle truffe” e quest’anno il suo secondo romanzo, “Lorenzo Segreto”.
Non è affatto importante né utile. Anzi, può essere una seccatura e, in alcuni casi, perfino una faccenda dannosa. Un autore di fumetti e, in generale, un autore, meno si fa distrarre nello svolgimento del proprio lavoro e meglio è. Anzitutto per sé stesso e per il proprio equilibrio mentale. E poi, per la qualità di quanto va scrivendo. Il fatto di avere una pagina Facebook o un account Twitter non aggiunge nulla a uno scrittore di qualsivoglia specie. Quello che certamente porta è perdita di tempo, spreco di carica emotiva, di attenzione e finalità. Io ho una pagina Facebook con cui cazzeggio quotidianamente con amici e colleghi e con chi vuole partecipare alle discussioni. Ma il mio atteggiamento è del tutto ludico, per me il social network è un passatempo (e il problema è, ripeto, quando il tempo anziché passarlo lo perdo), un modo per non sentirsi troppo soli, che è la condizione normale di chi fa il mio lavoro. Niente di più, niente di meno. Negli ultimi anni ho anche pubblicato due romanzi. Posso dire con certezza pressoché assoluta che la mia presenza in Rete non mi ha portato un solo lettore in più (rispetto ai miei soliti dodici) né una copia venduta in più. Il fatto è che la filosofia del social network funziona secondo tre direttive: velocità, superficialità e distrazione. Qualsiasi argomento dura un arco di tempo minimo dopodiché viene sostituito dall’argomento successivo, e così via. Potrei cancellare oggi stesso la mia “esistenza“ sul web e se ne accorgerebbero in sei o sette (forse). E, tempo dieci minuti, passeranno ad altro.
Non nego che oggi ci siano maggiori possibilità di accesso all’informazione e alla documentazione rispetto al recente passato. Altrettanto vero, però, è che la fruizione “in orizzontale” (come direbbe Alessandro Baricco) comporta limiti e rischi. In altre parole, per trovare la parte buona e utile della Rete devi perdere molto più tempo che passando da una libreria, una biblioteca o un’edicola. E la possibilità di non trovare alla fine niente di buono è sempre dietro l’angolo.
Il “confronto” attraverso uno schermo non esiste. Non c’è alcun confronto, non può essere definito tale. Si tratta di contatti labili, superficiali e del tutto falsati o in un senso (lodi sperticate), o in un altro (critiche feroci e insulti). L’unica maniera sana di parlare con le persone è guardandosi in faccia. E l’unica maniera che un autore ha di rivolgersi al pubblico è attraverso le proprie opere. Il resto è chiacchiericcio, rumore bianco.
Ho avuto modo di incontrare nel corso di questi anni due categorie molto distinte di lettori di Topolino: i cosiddetti “lettori appassionati”, nelle fiere e nelle manifestazioni, e i bambini (perdonate la semplificazione), presso le scuole o nel corso dei laboratori creativi tenuti dalla Disney. Ora, è evidente e innegabile il fatto che, specie nei primi tempi, il contatto con l’appassionato che mi chiedeva autografi e voleva farsi una foto con me come se fossi una rockstar o un attore di Hollywood titillava molto il mio ego. Ma avere a che fare con i lettori più piccoli mi ha sempre arricchito profondamente, mi ha fatto capire meglio a chi, anzitutto, è destinato il mio lavoro. Il lettore appassionato questa occasione di crescita non me l’ha mai offerta (magari si tratta di un mio problema, non lo escludo). Le decine di laboratori che ho tenuto insieme a colleghi sceneggiatori e disegnatori rivolti ai bambini delle elementari e delle medie mi hanno invece dato molto più che la soddisfazione della vanità. Detto ciò, nel corso degli anni con alcuni dei cosiddetti “lettori appassionati” ho costruito rapporti cordiali e di stima reciproca che continuano e che si confermano ogni volta che ci si incrocia nei padiglioni di una fiera. In quel caso, il contatto reale e umano è assai più gratificante di quello con il famoso “popolo del web”, una definizione che, se potessi, vieterei per legge.
Quanto all’educazione, diciamo che è come il coraggio manzoniano: se non ce l’hai, non te la puoi dare. Né nel mondo reale e nemmeno seduto davanti a uno schermo. Anzi, pigiando i tasti di una tastiera diventiamo tutti dei leoni. Leoni un po’ codardi, a dire la verità. Capaci solo di ruggire e poi nascondersi.
C’è differenza tra il pubblico di lettori di fumetti in generale e il pubblico di lettori presente e attivo sui forum tematici? Cosa comporta, in quei microsistemi, la presenza di un autore iscritto che partecipa alle discussioni?
Non posso che ripetere un concetto ovvio, che rischia di diventare banale, espresso già da molti tra i miei colleghi. I lettori che frequentano un forum fumettistico non sono un campione rappresentativo dei lettori di quel determinato fumetto. Non solo: si tratta di una nicchia di lettori molto ristretta – a volte solo 30, 40 forumisti attivi su, magari, qualche migliaio di iscritti – e, per di più, molto omogenea. Laddove, invece, il bacino generale dei lettori di un qualsiasi fumetto è quanto di più eterogeneo e variegato. I lettori-forumisti si assomigliano più o meno tutti e sono tutti, tendenzialmente, conservatori. Spesso vivono (sbagliando, secondo me) il proprio ruolo come quello di “coscienza critica” del fumetto. Niente di più lontano dalla realtà. Anzitutto, la critica fumettistica, come in generale tutta la critica, è una faccenda seria e importante per praticare la quale occorre un po’ di preparazione e, magari, di umiltà e rispetto. All’interno di un forum si confonde spesso il concetto di “critica” con quello di “parere”, e quello di “recensione” con quello di “opinione”. Direi che ci vorrebbe anche un minimo di conoscenza tecnica, sapere cosa effettivamente comporti, poniamo, la scrittura di una sceneggiatura. Leggo spesso cose tipo
Non sono certo di aver capito il senso della domanda. Anzitutto, contesto la definizione di “vox populi”. In virtù di quello che dicevo prima, la voce dei cosiddetti “new media” non è affatto quella del popolo, bensì quella di una minoranza molto ristretta e molto omogenea per intenti e visione generale. Ma, attenzione, io non sto contestando la libertà di mettersi a discutere su un forum di quello che pare e piace, per chi desideri farlo. Certo, mi piacerebbe se i forumisti non si mettessero in testa di influire sul lavoro di un autore (e molti covano in cuor loro questa assurda pretesa) né di suggerire all’autore che, soddisfacendo i gusti di un forum, egli andrà automaticamente incontro al gusto generale del pubblico. È probabilmente più vera l’ipotesi opposta. Vorrei cercare di rispondere alla domanda ma devo confessare una mia difficoltà direi filosofica: francamente, io già non capisco quale sia la necessità di analizzare una storia pubblicata su Topolino – che andrebbe letta con leggerezza e con animo predisposto al divertimento – come se fosse uno scritto inedito di Camus. Non lo capisco proprio. Una volta che uno dice: “Questa storia con Paperino mi ha divertito”, oppure “Questa storia con Topolino non mi ha divertito” non vedo che cos’altro ci sia da dire. Quindi, che senso dovrebbe avere per me “approcciarmi” ai “new media” rispetto al lavoro che faccio? Mi capita di leggere di gente che parla della “psicologia di Nonna Papera” o dell’“uso corretto” del personaggio di Paperon de’ Paperoni e resto basito. Io che cosa dovrei fare? Controbattere? Esortare, come facevo qualche anno fa, a leggersi la storia e poi scendere giù a giocare? Per non farmi il sangue amaro, decido di non fare né dire niente. Ecco, forse riesco a dare una risposta alla domanda. Sì, esiste un modo sbagliato per un fumettista di approcciarsi ai new media, ed è approcciarsi. Disapprocciamoci.
Intervista rilasciata via mail l’11 settembre 2014.