di Cristiano Abbadessa
Fra le proposte di pubblicazione ricevute, alcuni mesi fa, mi è capitato fra le mani un agile libercolo che “insegnava” a preparare un curriculum professionale; non, però, utilizzando gli schemi teorici del cosa dire e cosa evitare, bensì partendo da alcuni reali esempi “comici”, con errori marchiani o inadeguatezze, messi in fila per divertire il lettore e offrire lo spunto di qualche consiglio utile. Idea non nuova e peraltro poco pertinente alla narrativa, per cui distante dalla nostra linea editoriale, e inevitabilmente scartata.
Ciò non toglie che la prima, immediata, considerazione che mi è venuta in mente sia stata che sarebbe stato divertente, e per certi versi istruttivo, realizzare un prodotto simile mettendo insieme gli errori concettuali, gli autolesionismi e le negligenze surreali di troppi aspiranti autori che si propongono all’editore in maniera del tutto inadeguata, utilizzando modalità e approcci spesso controproducenti.
Ovviamente l’idea non è mai stata presa in considerazione, perché, come quella dei curriculum, aveva, tra le altre cose, il principale difetto di dileggiare in modo sgradevole (anche se anonimo) persone che si erano rivolte con fiducia e con speranza a un interlocutore, di solito in perfetta buona fede, e che non meritavano di essere messe alla berlina per i loro peccati (a volte anche veniali).
Resta però vero che la maggior parte delle proposte editoriali provenienti dagli autori arriva all’editore veicolando un messaggio e una presentazione che creano dei presupposti, e dei pregiudizi, sfavorevoli; anche, o forse soprattutto, quando l’intenzione sarebbe opposta.
Non mi riferisco qui, in particolare, ai casi di evidente inadeguatezza complessiva, quelli in cui non vi è alcun talento nella scrittura e non vi è alcuna idea di come funzionino i rapporti tra autore e editore. Né mi riferisco ai casi di palese e quasi provocatoria sciatteria, in cui spesso a una cattiva presentazione fa seguito un testo (magari neppure da buttare, nelle intenzioni e nelle intuizioni) allegramente infarcito di errori grammaticali e refusi, di sicuro mai riletto, spedito in giro senza nessun timore dell’ovvia figuraccia.
I casi che attirano l’attenzione di una redazione sono altri: presentazioni accurate ma indirizzate all’editore concettualmente sbagliato, piccole disattenzioni che suscitano reazioni negative, candide ammissioni di ignoranza che non invogliano l’editore all’investimento. Soprattutto, la sensazione che gli autori, nel presentare la propria opera, tengano molto a “essere se stessi”, a non adeguarsi in alcun modo all’interlocutore e a perseguire la propria strategia (che può essere raffinata o naïf, questo non conta) seguendo schemi invariabili.
Può essere un caso, ma può anche dipendere da un po’ di cattiva “letteratura” che circola nella rete. Perché non è impossibile trovare consigli e piccoli vademecum su “come presentare l’opera all’editore”, ma il più delle volte si tratta di insegnamenti fuorvianti, che non tengono mai nel dovuto conto di specificare a chi si sta rivolgendo la proposta. Ed ecco che, ancora una volta, l’esistenza di mondi paralleli come la grande e la piccola editoria finisce per creare grossi equivoci: perché i consigli che circolano sono forse buoni per catturare l’attenzione dei grandi editori (che di solito cestinano quasi tutto molto rapidamente), ma non per fornire gli adeguati strumenti di valutazione a una redazione che, da subito, vorrebbe capire bene che opera si trova a valutare.
L’impressione è che a molti aspiranti autori servirebbe davvero un breve corso e qualche buon consiglio, per imparare a proporsi in modo onesto, né ammiccante né saccente, ma efficace, completo e chiaro. Ed è un’idea sulla quale, forse, vale la pena di lavorare.
In ogni caso, due consigli, peraltro consequenziali, possono essere spesi fin da subito a beneficio di chi si appresta a sottoporre la propria opera letteraria a un editore. Primo: abbiate ben chiaro a chi vi state rivolgendo, perché esistono mille differenze (di dimensioni, scelte, linee programmatiche, disponibilità economiche, qualità e capacità commerciali) che rendono ogni editore diverso da un altro, e non vi è nulla di più sbagliato di una presentazione identica e seriale rivolta indistintamente a chiunque. Secondo: l’autore non deve “imparare a vendersi bene” ma deve essere chiaro e onesto, perché non si tratta di “piazzare” un prodotto ma di far incontrare due esigenze, due attori che devono essere reciprocamente convinti di avere un interesse in comune e riporre fiducia nell’opera in questione. Per dirla in modo moderno, anche l’autore deve elaborare una strategia marketing oriented, mentre troppo spesso è fermo al selling oriented del vecchio piazzista che infila il piede nella porta del (non) cliente.