E' stato difficile pormi di fronte alla recensione di un film come Avalon. Anzi, è stato difficile pormi di fronte ad un film come Avalon e non solo perché quest'ultimo è stato girato da una vera e propria leggenda. Credo che in molti conoscano il nome di Mamoru Oshii, almeno per sentito dire. Si tratta del regista di Ghost in the Shell, il film che ha rivoluzionato il concetto di cyberpunk nel 1995. Un nome legato al mondo dell'animazione giapponese, che non a caso è stato scelto nel 2002 da Quentin Tarantino per girare le scene d'animazione inserite in Kill Bill vol. 1.
Avalon non è un film d'animazione. E' il primo film con attori in carne e ossa girato dal regista nipponico dopo Ghost in the Shell, quindi ancora più carico dell'alone di leggenda che accompagna questo autore. E' la storia di Ash, campionessa di un gioco di guerra simulato (Avalon, appunto) a cui ci si connette tramite un'interfaccia neurale. Avalon però non è solo un gioco ma una vera e propria realtà virtuale in cui è possibile perdersi. Sarà disposta Ash a correre questo rischio pur di liberare la mente di Murphy, sue ex compagno di squadra ?
Non si tratta di un film semplice. Girato in Polonia, in lingua polacca e con attori europei, Avalon non si adegua agli standard a cui lo spettatore medio è stato abituato. Lento, lentissimo (ma non per questo noioso) fino all'esasperazione, si tratta di una nuova indagine sulla realtà e sull'identità dai risvolti filosofici. Uno sguardo sul rapporto uomo/macchina e sulla totale interdipendenza tra i due che porta l'essere umano a divenire "altro". Ma non si tratta di un cambiamento biologico, come in Ghost in the Shell: a cambiare, in Avalon, è la realtà stessa a cui poi l'individuo si adatta divenendo a sua volta altro. Come a dire: siamo il mondo in cui viviamo.
Come ci trovassimo davvero in un videogioco, Avalon è un film costruito su diversi livelli che simula il processo di alienazione vissuto da molti videogiocatori. Una vera e propria malattia che impedisce di distinguere quel che è reale da quel che non lo è. Ne è vittima Ash come tutti i personaggi della pellicola, pronti a fuggira da una vita opaca e soffocante rappresentata dal direttore della fotografia Grzegorz Kedzierski attraverso un'opprimente policromia di grigi. Color seppia invece è la fotografia quando si entra in Avalon (il gioco) proprio perché per i personaggi il gioco è molto più reale ma non il grado assoluto di realtà.
E poi c'è il nostro mondo, fatto di colori accesi e di vita. Ma siamo sicuri che quello, solo perché lo riconosciamo come tale, sia il vero mondo? Alla fine rimaniamo come fantasmi, vittime di quel che ci dicono i nostri sensi, convinti di avere il controllo ma sottomessi in un mondo artificiale a cui non possiamo che adattarci, per sopravvivere. Ed è proprio su questo concetto evolutivo che si basa il film.
Per rappresentare tutto questo Oshii Mamoru ricorre ad un'estetica molto vicina a quella delle sue opere animate. Gli stessi attori somigliano ai personaggi di un anime (bravissima la protagonista Malgorzata Foremniak), manichini artificiali come le musiche del compositore Kenji Kawai. Un film che non racconta una vera e propria storia, che non ha una vera e propria trama e che quindi può benissimo non piacere. Non c'è azione (come farebbe supporre la trama), il montaggio è dilatato e i dialoghi ridotti all'osso. Ma questo film è dotato di un fascino inquietante, che atterrisce fino allo scioccante finale.
Curiosità:
- Il nome della scenografa Barbara Nowak è visibile sul poster dell'opera teatrale Avalon.
- Uno dei personaggi è un cane di razza Basset Hound, vera e propria firma del regista che ne possiede uno di nome Gabriel.
- Nel gioco è presente un bug di sistema denominato ghost. Il ghost, per Mamoru Oshii, è l'anima ovvero quella cosa che distingue gli esseri umani dalle macchine.